
Far West
La Sardegna è quella meta esotica, che però sta proprio dietro l’angolo. Andarci ti dà quella sensazione di viaggiare, nel senso più autentico del termine.
Periodo consigliato
Gen - Dic
Dislivello Totale
4132 m
Lunghezza totale
486 km
Durata
4/7 Giorni
S
Passa qualche anno, la comunicazione si evolve, tutto cambia. Calciatori, soubrette, politici di ogni colore, attrici e attori: l’isola inizia ad acquisire un’immagine totalmente distante rispetto a quella che si era fissata in me, perdendo quel fascino mitologico e diventando un semplice, paesaggisticamente comunque splendido, paese dei balocchi.
Penso sia stato proprio questo cambiamento nell’immaginario ad avermi spinto, più di ogni altra cosa, a trovare due amici, imbarcarmi, e scegliere di andare là, nel profondo Ovest sardo.
Il traghetto è stato una scelta quasi obbligata, ma di quell’obbligo che si accetta volentieri. Certo, volando si risparmia tempo, ma il mezzo navale permette di imbarcarsi già pronti per pedalare. La bici con le borse montate sul telaio, nessun problema con bagagli in ritardo e menate varie, coltelli, bombolette e accessori di ogni tipo al seguito, senza controllo aeroportuale.


E poi c’è un lato romantico, ovviamente più importante: saranno i geni di chissà quale antenato marinaio, saranno le storie lette e rilette di esploratori e navigatori, ma lasciare la terraferma su una barca ha sempre un fascino differente. È davvero uno staccarsi, allontanarsi da ciò che si conosce, affidandosi alle onde e al loro mistero. Salpare è un rito, anche se ci si trova su un comodissimo traghetto motorizzato con a bordo due ristoranti, un bar aperto ventiquattro ore su ventiquattro e ogni tipo di comodità, compresa la diretta di Bayern Monaco – Real Madrid, semifinale di Champions League.
La spiaggia de La Pelosa, a Stintino, è l’obiettivo del primo giorno in terra sarda. Poco distante da Porto Torres, è uno di quei luoghi di cui sento parlare da sempre: nel bene per la sua bellezza, nel male perché diventato un luogo troppo affollato durante la stagione estiva. O, almeno, queste sono le considerazioni tramandate dagli amici viaggiatori su due ruote, allergici a tutto ciò che è confusione. Una volta lì, lo scenario che ci si propone è di quelli che non scorderemo mai. Difficile riassumerlo con una parola, ma anche con una frase o un paragrafo.


Il silenzio, la tranquillità, la pace, i colori così accesi da sembrare appena poggiati su una tela da qualche pittore impressionista. Scambiamo due parole, ma davvero giusto un paio: la bellezza riempie ogni vuoto e rimaniamo immobili, assuefatti. Viaggiare a maggio, sacrificando le ferie estive, per noi italiani è un sacrilegio. Io penso che sia un sacrilegio, invece, non godersi un posto del genere, in un momento come questo. Ragionamenti che, probabilmente, soltanto chi è abituato a spostarsi con l’indispensabile ficcato in una borsa agganciata ad una bici, può capire.
La scelta di andare in perlustrazione sulla costa occidentale non è stata casuale. Mi piaceva l’idea di attraversare più territori, più zone, e farlo con un fil rouge che unisse tutto il viaggio: in questo caso, il Mar di Sardegna. Volevo che ogni sera il sole andasse a dormire scomparendo davanti ai nostri occhi, tuffandosi nell’orizzonte del Mediterraneo che, da queste parti, non è sempre amichevole. Un Mediterraneo spesso ventoso, un Mediterraneo vero, al sapore di mare.
Alghero è il primo centro abitato rilevante che attraversiamo e dove, ovviamente, decidiamo di fare un pit stop. Ha la fortuna di non essere enorme, quindi non c’è quella parte di periferia noiosa e, ahimè, troppo spesso decadente. Le mura a difesa della città, a strapiombo sul mare, sono calde e comode, decisamente consigliate per perdere una buona ventina di minuti con i piedi a penzoloni.
È facile, da lì, immaginarsi i protagonisti delle epoche antiche guardare l’orizzonte in attesa del nemico in arrivo, o discutere sulla missione esplorativa che sarebbe partita di lì a poco.


Traffico praticamente assente, temperatura giusta, il sole che inizia piano piano a scendere mentre le gambe girano ancora alla grande, il rumore delle onde da destra e alcuni grifoni in volo sopra la nostra testa, quasi a volerci accompagnare in questo viaggio che sembra davvero senza tempo. Inizio a ragionare su cosa mi abbia portato qua, sulle mie motivazioni, sull’immagine che ho di questa terra e, una volta arrivato a destinazione, guardando il primo tramonto sul mare, mi rendo conto di essere sulla strada giusta.
È una primavera bizzarra, la più piovosa degli ultimi anni, ragion per cui la Sardegna si manifesta con una vividezza di colori che mai avrei immaginato. Prati e alberi sembrano appena stati trapiantati da qualche fiordo nordeuropeo, tanto è saturo il verde. Il cielo crea una linea netta con il mare, entrambi azzurri ma di un'intensità differente, grazie anche al vento che soffia inesorabile, pulendo l’aria. Il vento, sì, che da queste parti è una cosa seria: Maestrale da Nord-Ovest, Ponente da Ovest e, più raramente, il caldissimo Scirocco direttamente dall’Africa. Procedendo da Nord a Sud, la probabilità che la corrente ci spinga è decisamente alta e, sarà che siamo baciati dalla fortuna, ma le migliori previsioni si avverano anche in questo secondo giorno. Vento in poppa e velocità di crociera decisamente alta, considerando che si tratta di un viaggio e non di una granfondo, il che ci aiuta a percorrere più rapidamente i tratti dove abbiamo voglia di dare gas, in modo tale da prenderci il nostro tempo ogniqualvolta lo sentiamo necessario.


Così capita spesso di imbatterci in persone del luogo che andiamo a stuzzicare volutamente, provando a imbastire un qualunque tipo di discorso, con l’obiettivo di andare più in profondità nella conoscenza di questa terra: non c’è maniera migliore, per farlo, che entrare in contatto con gli esseri umani. Popolo decisamente orgoglioso, quello sardo, e non è una novità, basti pensare a quante bandiere rappresentanti i quattro mori siamo abituati a incontrare, in ogni situazione e in ogni angolo del mondo: dal live di Bruce Springsteen a Copenaghen, fino a un bar sperduto in qualche centro abitato dell’emisfero australe, i sardi sono presenti e lo sbandierano. Popolo testardo, e anche questa non è una novità. Popolo che, spesso, viene definito come chiuso e diffidente: e qua, posso dire senza se e senza ma, che si tratta di una delle bugie più grosse che abbia mai sentito. Se è vero che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, è altrettanto vero che raramente ho trovato persone così disponibili durante le migliaia di chilometri passati in sella negli ultimi quindici anni.
I nomi delle città, qua, fanno spesso sorridere ed è impossibile non ripeterli all’infinito, ma prima bisogna imparare a pronunciarli correttamente: certe volte sembrano degli scioglilingua ed è infatti necessario l’aiuto del pubblico. Manforte, per capire dove andasse l’accento in Magomadas e Tresnuraghes, ci è arrivata dalla signora Giovannina, che ha pensato bene di raccontarci la sua storia da emigrata rientrata poi in terra natia, e della stessa identica esperienza vissuta dal marito, dai due figli e infine anche dai nipoti. Quasi come fosse una sorta di scotto da pagare: andare e, solo a quel punto, poter ritornare. È stata una bella mezz’ora di chiacchiere, quella con Giovannina, spaziando tra vari argomenti e arrivando anche a toccare i consigli per cucinare i malloreddus, fare il sugo quello buono, e conservare al meglio il pecorino: alla faccia della diffidenza e della chiusura di questo popolo.


Si pedala, costantemente e inesorabilmente, verso sud. Il colore del mare cambia, e così la sua funzione, con ruoli sempre diversi: da luogo di vacanza a luogo atto alla pesca e al sostentamento, fino a diventare una meravigliosa palestra all’aria aperta per la nuova generazione di surfisti. Cose impensabili fino a trenta o quaranta anni fa. E, con il mare, cambia anche il paesaggio tutto intorno, arrivando a mostrarci laghi, foreste, piantagioni di mais a perdita d’occhio degne della Louisiana cinematografica e, infine, il secondo tramonto.
Il cibo, un po’ come in tutta Italia, anche da queste parti non è preso sotto gamba: il pesce lungo la costa, il patrimonio caseario, i piatti dell’entroterra, ci sono una miriade di alternative tutte squisite. Ciò che però mi ha sempre maggiormente stuzzicato e incuriosito è la tradizione tonnara di Carloforte, sull’isola di San Pietro. I tempi sono abbastanza serrati, però nel programma di viaggio abbiamo deciso di inserire anche una scappata proprio sull’isola nell’isola, arrivo della terza tappa, con tre obiettivi: testare, capire, godere.
La giornata parte così, con questo focus ben chiaro in testa ma, come i saggi ci insegnano, è un grande errore pensare a ciò che dovrà avvenire, invece che soffermarsi sull’istante che si sta vivendo. A darci uno scossone e farci ritornare sul qui e ora ci pensa come al solito la strada su cui le nostre ruote stanno rotolando da oramai tre giorni. La serpentina di asfalto che porta al Passo Bidderdì, il deserto lungomare di Portixeddu dove non possiamo esimerci da un tuffo in acqua, la pioggia refrigerante a Buggerru, i villaggi minerari il Pan di Zucchero e i faraglioni di Masua, la spiaggia oceanica di Fontanamare. È un susseguirsi di emozioni donate dalla cosa più semplice ma anche più importante che abbiamo, eppure spesso dimentichiamo, a portata di mano: la bellezza.


Non si parla molto durante questo viaggio, almeno finché si è in sella. Così, l’arrivo all’imbarco dei traghetti sancisce anche il momento in cui si può iniziare a discutere a ruota libera. Eppure, anche questa volta, l’effetto navigazione si manifesta e fa in modo che le parole si fermino, lasciando spazio all’ennesimo momento di contemplazione.
È in questa maniera che arriviamo a Carloforte, con in regalo il terzo tramonto, sorseggiando la meritata birra di fine giornata, su un traghetto frequentato da soli pendolari che fanno la spola tra le due isole. Sono sempre più sicuro di essere sulla strada giusta.


Carloforte è un luogo speciale. Si trova nell’estremo Sud-Ovest, e si raggiunge in una mezzoretta di navigazione. È un Comune famoso e reso unico da due cose: la sua origine ligure e la tonnara. Basta fare due passi in centro per notare l’architettura, sentire il dialetto e capire che c’è qualcosa di strano: sembra di stare in riviera, poco importa se di ponente o di levante, ma sicuramente ligure. Ci spiegano che tutto partì intorno al 1730, quando a un numero consistente di pescatori provenienti da Pegli, ma confinati nell’isola tunisina di Tabarka, fu concesso di colonizzare l’allora disabitata isola di San Pietro, e stabilircisi. Tanto che, ancora oggi, lo slang è quello dei caruggi e non c’è da stupirsi se si sente partire qualche belin dalla bocca del tabaccaio o del verduriere in piazza. Per quanto riguarda la tonnara, invece, il discorso è decisamente più semplice: in queste acque i tonni stanno bene, proliferano, e la tradizione ittica ne è la conferma. Tonno in scatola, cuore di tonno, tonno crudo o leggermente scottato ma mai ben cotto, pasta col tonno.


Questi giorni in terra sarda ci stanno regalando una varietà di scoperte che non potevamo immaginare. Discutiamo di tutto ciò in una mattina di maggio mentre, tra una curva e l’altra, stiamo pedalando tutta la costa meridionale che ci porterà fino a Cagliari. Non ci sembra vero di poter colloquiare, in fila per due, senza automobili pronte a strombazzare e a farci il pelo durante un sorpasso azzardato per guadagnare quei pochi secondi decisivi nell’accaparrarsi il posto migliore su un’affollata spiaggia, in una calda giornata di agosto. Non mi stancherò mai di ripetere quanto il classico turismo di massa sia una malattia, completamente agli antipodi da ciò che stiamo vivendo noi, fuori stagione, in sella a una bici.
Ci godiamo gli ultimi colpi di pedale, ancora una volta in silenzio, in attesa del quarto tramonto. Scegliamo di salire fino al Bastione di Santa Croce, nel cuore del capoluogo, per vivere questo momento dall’alto, immedesimandoci ancora una volta in un personaggio d’altri tempi che, da quassù, scrutava l’orizzonte.
C’è una Sardegna sconosciuta, dove i rumorosi yacht, le camicie bianche inamidate e i talvolta volgari privè lasciano spazio ai silenzi, ai tramonti e alle canottiere sgualcite dal nobile lavoro. C’è una Sardegna autentica, orgogliosa, disponibile e accogliente. C’è una Sardegna proprio come quella che immaginavo da bambino: mitologica, viva e pronta a stupire.
Se decidete di perdervi in questo far west, siete sulla strada giusta.

Testi
Stefano Francescutti

Foto
Paolo Penni Martelli
Hanno pedalato con noi
Stefano Francescutti, Claudio Ruatti

This tour can be found in the super-magazine Destinations - Italy unknown / 3, the special issue of alvento dedicated to bikepacking. 9 little-trodden destinations or reinterpretations of famous cycling destinations.