G’vol dal témp

L’Appennino di Parma come non l’hai mai visto. Divagazioni eno-gastronomiche incluse.

Dislivello Totale

4.737 m

Lunghezza totale

265 km

Durata

3 Giorni

I

l tempo lo si può ammazzare, perdere, dimenticare, rimpiangere. Sulla parola e il concetto di tempo, in dialetto pramzán, esistono decine di modi di dire, ma uno in particolare è sulla bocca dei ciclisti. Lo dicono quando vanno piano, quando vorrebbero andare più forte, quando rimpiangono di non aver visto l'ultima novità di mercato di una marca di bici: G’vol dal témp. Ci vuole del tempo.

G’vol dal témp

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Intro

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Su e giù tra quattro valli: Taro, Baganza, Parma ed Enza

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Un po’ di pace

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Barboj, cascine e sterrati

Difficile non essere d’accordo. Ci vuole del tempo per qualunque cosa, ma per andare in bici un po’ di più. Ci vuole del tempo nella preparazione, dalla pressione delle gomme al vestirsi, nel prendere dallo stendino le cose che la sera prima hai messo ad asciugare dopo la lavatrice.  Nel mangiare qualcosa prima e dopo, nel riempire la borraccia alle fontanelle. Ci vuole del tempo anche per ricordarsi di scrivere agli amici, la mattina, che «oh stasera giretto? Giusto una trentina di chilometri che non ho tanto tempo».
Il tempo, a Parma, non è che stia fermo, sennò suonerebbe ancora Giuseppe Verdi, si guarderebbero solo film di Bernardo Bertolucci e segnerebbe ancora Faustino Asprilla. Ma bisogna scendere un po’ più a sud del capoluogo per osservare uno strano fenomeno di rallentamento: la pianura inizia pigramente a raggrinzirsi, diventa collina. Si vedono più alberi, meno macchine. L’odore nell’aria si fa più aspro per i campi concimati, la strada – se la scegli giusta – diventa sterrata. E tutto, a poco a poco, diventa più divertente. E sembra che il tempo, da queste parti, scorra in maniera diversa.
Prendete per esempio il giardino della Rocca Sanvitale, nel centro di Sala Baganza: il settecentesco giardino all’italiana, il laghetto al centro e le mura tutt’intorno. Sembra di entrare in un’altra dimensione. Non a caso tutti e tre i giretti gravel ad anello che vi stiamo per proporre partono e terminano qui.

E non preoccupatevi se alcuni tratti del percorso saranno affrontati in più di una giornata perché nulla qui vale più della regola di Eraclito: «Non vivrai mai le stesse identiche esperienze due volte».
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Su e giù tra quattro valli: Taro, Baganza, Parma ed Enza

Dopo i primi 15-16 chilometri sembra tutto tranquillo. Sono già stati affrontati un muretto (Calicella) e una discesa gravel (verso Arola). Si supera lo splendido borgo di Torrechiara senza rendersi conto che, dopo il ponte sulla Parma, iniziano le montagne russe. Salita su strada fino a Mulazzano Monte, tratto gravel per raggiungere Case Cantini prima e Torre poi, muro verso Guardasone che inizia proprio quando i due rami del torrente Termina diventano uno solo. La strada e il panorama ci dicono che il pre-Appennino incomincia qui.
Una splendida carraia, che i biker locali chiamano le Coste o i Margini, porta al punto più alto di questi tre giorni, i circa 500 metri di Bazzano. Alcuni appassionati hanno fatto di queste discese dei veri e propri trail da downhill: Bazzano e il Monte Castello sono la casa del Toro Oro Bike Park, roba da cui stare alla larga se non si ha una bi-ammortizzata.

Ciclostorie
Storia 01

Gravel Gourmet

Lasciata la Pieve di Bazzano sulla sinistra, un saliscendi tra località dai nomi che, messi in fila, sembrano una filastrocca: si scende giù a Lodrignano, si supera Provazzano, prima di Neviano, ed ecco lì, quasi a Quinzano, si gira a destra e dopo qualche metro inizia la discesa verso il muro di Cavirano.
Lasciandosi Langhirano – la filastrocca non era mica finita… – alle spalle, la strada torna a essere ghiaiata dopo Mattaleto. Nel punto esatto in cui l’asfalto finisce, sulla sinistra della strada una cassetta della posta di ferro, di quelle americane, col pennacchio rosso per aprirle: c’è un cartello che sembra essere lì da una vita e recita: «Chi sporca la strada la deve pulire». Che sia un monito per coloro che sporcano la strada nel senso che la vorrebbero asfaltare? Sarebbe effettivamente un peccato rovinare col bitume questa strada bianca così bella. Superata Vidiana, rimaniamo in costa, prima di lanciarci verso il castello di Torrechiara.
Si svolta a sinistra che sembra quasi di entrare in un’aia privata. La carraia passa tra le vigne e tra i vigneti si apre la vista sul castello. Ci troviamo, tra statue e sculture, lungo il Sentiero d’arte, un’installazione artistica nata in occasione di Parma capitale della cultura 2020.

Altro posticino panoramico è Barbiano, una delle colline più scalate dai ciclisti parmensi. Ha molti versanti e un possibile finale gravel, ripido ma consigliato. Lungo la discesa verso il fiume Baganza, fermatevi presso una bella chiesa in sasso: si dice sia la prima a essere stata dedicata a sant’Ilario, vescovo di Poitiers, vissuto nel IV secolo, teologo e filosofo, e poi patrono di Parma. Attraversata la provinciale, si giunge in un punto un po’ critico, almeno per me: la passerella sul fiume Baganza.
La passerella è breve e sicura: c’è un parapetto di protezione che impedisce di cadere di sotto. Ma è progettata per invitare il ciclista a scendere di sella e salire i gradini a fianco della striscia di asfalto al centro, su cui spingere a mano la bicicletta. Fin da ragazzino mi ha sempre attirato salirci sopra in bici, scalando i 40 centimetri di asfalto in ripida pendenza. Più di una volta sono caduto malamente. 

Prima dell’ultima ricognizione sul percorso, per scrivere questo pezzo, finalmente ce l’ho fatta. Il segreto è che bisogna prenderla a tutta velocità, ma soprattutto per la prima volta avevo una bici gravel che non ha ammortizzato l’impatto ma si è arrampicata a dovere. Ho scalato il mio Mortirolo di due metri.
Dopo l’uscita dalla passerella, si imbocca la ciclabile sterrata lungo il Baganza che alcune ruspe e camionette stanno cercando di allungare. Il tratto che costeggia il fiume è perlopiù nel bosco e senza difficoltà tecniche. Unica attenzione: evitare di frenare in modo brusco in un tratto di ciottolato sul quale, ogni tanto, gorgoglia l’acqua di un ruscelletto. Nel finale si fa una prima conoscenza coi Boschi di Carrega e l’ultima fatica di giornata è riportare la bici a Sala Baganza, rigorosamente tramite la pista ciclabile recentemente costruita.

Luoghi

Sentiero d’Arte

Corte di Giarola

Traversetolo: due musei

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Un po’ di pace

Il secondo giorno, la prima salita di giornata la si affronta quasi subito. In centro a Felino, si punta verso il castello, che è lì, pensate un po’, dalla fine del IX secolo. Oggi è proprietà privata, ma si possono visitare le mura, la corte e i sotterranei. Nelle cantine c’è anche il Museo del salame, l’insaccato che ha reso Felino famoso nel mondo. Senza arrivare a Barbiano, si ritorna sulla provinciale per approcciare, poco dopo, una salita tra i vigneti. La carraia è quasi invasa dall’erba alta e fate attenzione che i rami di qualche piccolo arbusto non vi si infilino nei raggi. Il fondo stradale cambia molto a seconda del meteo: quest’anno la stagione è stata povera di pioggia, ma quando capita, il terreno è un attimo che diventi un pantano argilloso. Una stupenda strada bianca, l’unica forse qui a reggere il confronto con quelle toscane, ci porta verso il borgo di Tiorre. Carreggiata larga, compattata dal saltuario transito di mezzi a motore, piena di curvette e avvallamenti. Impossibile annoiarsi, anche perché la picchiata verso San Michele è molto veloce e divertente.

E il divertimento continua tra Vallezza e il monte Mengo, tra i fiumi Baganza e Taro: una sequenza di gravel facile, asfalto buono, gravel difficile, asfalto accidentato. Si sbuca a Fornovo Taro piuttosto ubriachi di curve e rilanci in salita, ma per fortuna mancano solo due asperità: lo strappo che da Ozzano porta in costa con vista panoramica e quello, attraverso i Boschi di Carrega, per tornare a Sala Baganza. In mezzo è il Taro a scortarci verso la pianura. Lungo il fiume, si trovano carraie ampie e larghe che, entrati nel fitto del bosco, diventano single track. Le foglie già ingiallite per terra rendono ben visibile il sentiero.

È uno posto perfetto perché si adatta a tutte le caratteristiche: chi vuole aprire il gas lo troverà estremamente sfidante, chi vuole godersela con tutta calma ne godrà il fondo poco tormentato da sassi e radici.

Siamo sulla variante parmense della via Francigena che collega Collecchio e Fornovo.
Ma il sentiero, perlopiù pianeggiante, diventa magico, quasi amazzonico, quando si costeggia il Naviglio Taro. Già nel 1550 una decina di canali derivavano le loro acque dal fiume per dare forza alle macine dei mulini e irrigare i terreni. Ora i mulini, presso le località di Oppiano, Giarola e La Maraffa, sono scomparsi, ma il canale – sorprendentemente pieno d’acqua, a dispetto di un Taro semisecco – è rimasto cruciale per l’agricoltura.
L’unico punto in cui bisogna scendere dalla bici è una chiusa sul Naviglio Taro, poco prima di arrivare alla Corte di Giarola. A meno che non vogliate superare una grata di ferro e un muretto di mattoncini rossi con un paio di bunny hop ciclocrossistici degni di Wout van Aert.

Dopo aver dedicato a Corte di Giarola il tempo che si merita – sempre a proposito di tempo… – mettiamo la ruota in direzione dei Boschi di Carrega.
Sono una specie di grande parco giochi ciclistico, con tracce ben segnate, ma forse la cosa migliore è perdercisi dentro, tra i sentieri. La prima volta che mi ci sono inoltrato ho scoperto un lago. In realtà ce ne sono almeno tre e questo, ma l’ho saputo solo dopo, si chiama Lago della Svizzera. Quel giorno trovai due giovani, seduti su una panchina di fronte a una casa di mattoni rossi. Avevano qualche anno più di me e mentre appoggiavo la bici a un albero per fare delle foto, rimasi colpito – come a quell’età si rimane colpiti dalle persone più grandi, anche se di poco – dai loro discorsi: parlavano di alcol, di problemi d’ansia, di solitudine. E fumando marijuana, lodavano la tranquillità di quel luogo. Mi sono tornati in mente perché, mentre cercavo informazioni in rete – senza trovarle… – sul perché il lago si chiama così mi sono imbattuto nel videoclip di una canzone della band friulana indie rock Tre Allegri Ragazzi Morti registrato proprio qui: si vedono il lago, la panchina, la casa di mattoni rossi. A distanza di tempo, non posso che confermare quello che pensavano del lago quei due giovani. E vi assicuro che io non ho fumato…

Cose buone

Salame di Felino

Prosciutto di Parma

Il Riccio di Parma

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Barboj, cascine e sterrati

Nemmeno la traccia dell’ultimo giorno è una passeggiata. Delle tre, è quella con più asfalto, ma non mancano anche oggi salite belle arcigne. Si comincia subito con quella del Gallo. Poi, a Strognano, la strada diventa un toboga e si sbuca a Langhirano. Prima di arrivare a Mulazzano, gira a sinistra per scendere verso la piccola frazione di Tassara, nient’altro che una manciata di case, stalle e silos in disarmo, dove vivono ormai solo qualche contadino, un cane, galline e tacchini. Guadato il torrente Masdone, si risale leggermente verso Rivalta e il suo Parco dei barboj, che prende il nome dai borbottii di gas metano prodotti dal sottosuolo, praticamente dei geyser in miniatura.
Salendo verso il Monte Fornello, la vista sui campi arati, le macchie alberate di querce, acacie e salici e i calanchi argillosi è splendida. È la zona in cui si svolge il Rural, un festival della biodiversità agricola. La discesa dal piccolo abitato di Monchio è molto divertente: ben manutenuta dai cicloamatori locali, in un paio di tornanti presenta curve quasi paraboliche da affrontare a tutta velocità. Ed è tutta da godere perché le due prossime salite, verso Trinzola e Bazzano (località Pozzolo), sono due veri muri.

Ciclostorie
Storia 02

Giro 1991: Chioccioli VS Bugno

Avvicinandosi a Traversetolo, si nota una torre spuntare tra gli alberi, sulla sommità di una collinetta: è la Guardiola, verso la quale i traversetolesi di una volta scrutavano il cielo per capire che tempo stava per arrivare. Nuvole sopra la Guardiola significavano pioggia in arrivo.
Dopo Traversetolo, che merita una sosta attenta e curiosa, il finale ha un’unica asperità significativa: un versante poco noto e sterrato verso Barbiano. Dopodiché, non resta che scendere e ritrovare luoghi incontrati nei giorni scorsi: il castello di Felino e il suo centro, il ponte sul Baganza, il giardino della Rocca Sanvitale.
È arrivato il momento di raccogliere i ricordi di tre giorni, porre per l’ultima volta una fetta di salume sulla torta fritta e bere l’ultimo bicchiere di Lambrusco: il nostro tempo qui, purtroppo, è finito.

Tipologia di bici

Gravel

La traccia è davvero molto tortuosa. Ricordatevi di ricaricare il computer, se no siete letteralmente fregati.

* informazione Publiredazionale

Testi

Michele Pelacci

Foto

Paolo Penni Martelli

Hanno pedalato con noi

Donato Cafarelli, Michele Pelacci

REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 1, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 13 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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