
Isola grande, isole piccole
La missione è ben chiara: raggiungere il punto più a Sud dello Stivale. Arrivare fin dove è impossibile procedere oltre, ed essere costretti a fermarsi. Perché il viaggio è anche questo.
Periodo consigliato
Gen - Dic
Dislivello Totale
5604 m
Lunghezza totale
482 km
Durata
3/6 Giorni
&
La sera antecedente ha chiesto dritte a qualche pescatore che preparava le esche proprio mentre lei e le amiche abbandonavano la spiaggia. Che strano, pensa per un secondo, esistono i pescatori notturni? Con la frontale ben accesa e le canne fissate al terreno, le confermano che la marea è più bassa il mattino e l’isola delle Correnti risulta facilmente raggiungibile. È da qui che Irma vuole vedere l’alba.
Di questo luogo la affascina la sua contraddittorietà: non è una vera e propria isola (è collegata alla terraferma da un sentierino in pietra sbriciolato dal mare), è considerato il punto più a Sud d’Italia (ma Lampedusa è ancora più giù) e a volte d’Europa (ma certe isole greche sono ben più giù). È uno dei più bei posti d’Italia, ma quasi nessuno conosce a memoria il Comune in cui si trova: Portopalo di Capo Passero. Qui si incontrano due mari, Ionio e Mediterraneo, così è scritto, ma cos’è il primo se non una parte del secondo? E ancora: esiste un’altra Porto Palo (scritta staccata) in Sicilia; Capo Passero è il nome di un altro isolotto a poca distanza.


Una volta percorso il ciottolato semi-immerso, raggiunge finalmente l’isola che il sole non è ancora spuntato. Sta per sedersi su uno dei pochi spiazzi erbosi della minuscola isoletta, quando la sua attenzione è attirata da un tintinnio.
Tra gli scogli, sbattuta dalle onde, una bottiglia di vetro sembra contenere qualcosa. È un foglio A4 arrotolato, scritto fronte-retro, e comincia così: «Che cosa vogliono comunicarci, le isole, con la loro presunzione di pensarsi come centro del mondo, di credere che tutto giri attorno a loro, come in realtà fanno solo le correnti e i pesci? La cosa più difficile di fronte a un’isola è semplicemente leggerla, capire quale lingua parla e quale inesauribile racconto mormora il mare». La citazione arriva da Storie fantastiche di isole vere di Ernesto Franco: Irma non può fare a meno di continuare a leggere. È un diario di viaggio e un isolario, scritto ogni giorno con una penna diversa. Verosimilmente a fine giornata.
Tranquillo atterraggio a Lamezia Terme. Sono i primi giorni di ottobre e, se al Nord la temperatura inizia ad avvicinarsi pericolosamente ai 10°, in Calabria ce ne sono 30 a mezzogiorno. Questo sì che significa rimandare l’inverno. Con due amici, Donato e Nicola, abbiamo un obiettivo in mente: raggiungere il punto più a Sud d’Italia, l’isola delle Correnti, in tre giorni. Che posto è mai un’isola come meta di un viaggio in bicicletta? Non solo stiamo viaggiando verso un’isola, la Sicilia, ma la meta ultima è una risibile isola di isola, sulla quale non accade nulla e spesso non è nemmeno raggiungibile. A quante cose esterne a noi e alle nostre biciclette dovremo affidarci… chissà se arriveremo mai.
Non ricordo poi granché della Costa degli Dei – così è chiamata la costa tirrenica qui, per chissà quali leggende greche – fino a Tropea. I miei compagni di viaggio in pianura menano come dei fabbri, e a dire il vero non c’era granché da vedere oltre ai campi di cipolle. Pizzo Calabro, ecco Pizzo Calabro sì che è bellissima, nonostante non vi siamo arrivati a bordo di una Subaru Baracca. A Tropea, comunque, entriamo per una via dal nome strano, Raf Vallone. Incuriosito, faccio una rapida ricerca e m’imbatto nell’unica persona, almeno credo, che ha vinto sia una Coppa Italia (col Torino negli anni Trenta) sia un David di Donatello (nel 1962 per Uno sguardo dal ponte).
La costa calabrese affacciata sul Tirreno ha due isole: Cirella, nel Comune di Diamante, e Dino (Praia a Mare). Entrambe sono quasi 200 chilometri più a Nord. Poi, scendendo la costa, più nulla. Tropea ce l’aveva sì un’isola: il promontorio su cui sorge il santuario di Santa Maria era infatti separato dalla terraferma in passato. Oggi una spiaggia collega lo scoglio di arenaria al paese di Raf Vallone, il penultimo per estensione dei 404 Comuni calabresi.
Anche la Sicilia aveva un’isola. Emerse dallo Stretto di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria, nel giugno 1831 e scomparve già nel gennaio 1832. Entrambi gli eventi furono causati dallo stesso motivo: l’eruzione di un vulcano sottomarino. Ogni flotta nazionale che pensò di averla scoperta per prima le diede un nome diverso. Prevalse, in Sicilia almeno, la dicitura di Ferdinandea a causa della presenza sull’isola, proprio in quelle settimane, di Ferdinando II re delle Due Sicilie. Di lei hanno scritto Flaubert, Verne, Pirandello, Camilleri: irresistibile il richiamo letterario di qualcosa di effimero e grandioso come un’isola che scompare.


Dalla costa calabrese, diciamo tra Briatico e Capo Vaticano, incredibilmente per noi che non c’eravamo mai stati, si nota per la verità un’altra isola siciliana, anch’essa vulcano: Stromboli. Ce ne parla l’ultimo ristoratore rimasto aperto fino a questo punto della stagione estiva, Roberto, a Marina di Nicotera: «Di fronte a noi – siamo su una veranda affacciata su una spiaggia deserta – c’è Panarea, che si vede e non si vede.
E poi Vulcano, guardala là. Devo dirvi la verità: mi vergogno molto ma non ci sono mai stato, alle Eolie. Dove vorrei andare davvero, però, è Stromboli».
Mentre il sole tramonta, raggiungiamo Bagnara Calabra tramite i panoramici tornanti sul versante Sud di Monte Sant’Elia. Il sole che tramonta dietro le colline messinesi infiamma le chiese in pietra, i viadotti sotto i quali sfrecciare, la notevole Villa De Leo progettata in stile art nouveau. Bagnara (e un vicino paesino dal nome che pare finto, Melicuccà) è il luogo da cui proviene la ricchissima famiglia dei Florio, la cui fama è legata a quella di un’altra isola siciliana, Favignana.
Essa fu acquistata da Ignazio Florio Sr. nel 1874 per poco meno di tre milioni di lire e vi fu costruita una tonnara rivoluzionaria. Per la prima volta, infatti, anziché conservarlo sotto sale, il tonno venne messo sott’olio e inscatolato. Ma non abbiamo molto tempo per pensare ai Leoni di Sicilia, il tramonto è in corso e Villa San Giovanni ancora lontana.
Grazie a una cronosquadre degna del Team Columbia-HTC con Marco Pinotti, Michael Rogers e Tony Martin, più o meno, superiamo Scilla e il suo borgo di pescatori Chianalea. Non a caso nella sua mastodontica opera Geografia, il filosofo Strabone scrisse che Scilla sorge su uno scoglio che le conferisce tutte le sembianze di un’isola. E infatti, penso mentre rinforziamo l’andatura verso lo Stretto di Messina e il traghetto, Scilla, qualche volta, salpa. Lo fa con tutti i suoi abitanti, che lo sappiano o no, e non è detto che qualcuno, a bordo, se ne renda conto. Dalla prua del traghetto la osserviamo bene: eccola di fronte a noi, l’isola grande.
La Sicilia è la più grande Regione italiana e la più grande isola del Mediterraneo. Non parlo solo di chilometri quadrati: nessun’altra riesce a mettere insieme storia millenaria, paesaggi mozzafiato di mare e di montagna, cucina da capogiro, scrittori incredibili, contraddizioni, intrecci di popoli e culture, e qualsiasi altra cosa, come la Sicilia. Oltre all’isola principale, vari arcipelaghi (Eolie, Egadi, Pelagie) compongono circa l’1% della superficie regionale e 18 isole minori sono abitate. Due città, Siracusa e Augusta, ci tenevano così tanto alle proprie isole da averle inglobate con ponti e passerelle. Ora fatichi ad accorgerti di quando ci sei e quando no, sull’isola.
Le prime due ore da Messina verso Sud, stamattina, sono filate vie lisce come il mare nello Stagnone di Marsala. La strada inizia a salire solo nei pressi dell’Isola Bella, collegata a Taormina da una sottile striscia di sabbia. Non dobbiamo per forza salire verso Taormina, il cui centro è tanto bello quanto preso d’assalto dai turisti, ma vogliamo goderci i panorami di Castelmola, il paese del vino alla mandorla. Venne inventato all’Antico Caffè San Giorgio, nella piazza principale di Castelmola, piastrellata bianca e nera, dalla quale si vedono al contempo il mare cristallino e l’Etna.


Fu una tappa a suo modo storica, anche perché se la giocò fino alla fine un palermitano, Giovanni Visconti. Piano Provenzana è il versante Nord-Est, da Linguaglossa alla vetta sono 18,6 chilometri al 6,7% medio, ma si inizia a salire realmente da Fiumefreddo. Dopo una puntatina nella valle del fiume Alcantara, innestiamo rapporti agili e ci addentriamo nel bosco.
Larici, abeti e pini avvolgono la strada denominata, in modo molto poetico, Mareneve. Tra i rifugi Brunek e Ragabo, poco prima della parte dura, un signore ferma un poliziotto e gli chiede: «Ué comandante, per andare dove devo andare io, tengo per Milo?». Chissà dove doveva andare, lui che ha tenuto per Milo. A tre chilometri dalla fine dell’asfalto, all’improvviso, il bosco si apre su una colata lavica estesissima. Le rocce nere, i basalti e la cenere visibili qui derivano dall’eruzione del 2002, l’eruzione perfetta, una delle più significative degli ultimi decenni. Distrusse completamente Piano Provenzana. Il signor Nino, 73 anni, perse quattro edifici in quei giorni: «Ci portò via tutto. Purtroppo la lava non ha gli occhi». Non ha comunque smesso di frequentare Piano Provenzana, anzi. La sua cosa preferita dell’Etna sono i porcini che nascono nel bosco: sotto la terra nera, nascono funghi bianchi.
A differenza dei versanti di Nicolosi o Ragalna, la colata lavica qui è recente, non ingrigita. Nera, pura. Sembra si sia solidificata ieri. Scendendo verso Milo, paese dove si incontravano spesso Lucio Dalla e Franco Battiato, il bosco di alberi sempreverdi lascia spazio a caducifoglie dai colori autunnali. Il giallorosso delle foglie mischiato al nero cenere e all’azzurro mare crea un paesaggio unico. Vorremmo sederci e aspettare di parlare con qualcuno, come il protagonista di Siciliano di Dalla, ma la Riviera dei Ciclopi ci attende.
È curioso che queste isolette, poco più che scogli di fronte Aci Trezza, condividano la genesi con un vulcano attivo più alto della Marmolada. Senza addentrarci in un trattato di tettonica delle placche, circa mezzo milione di anni fa lo scontro tra la zolla euroasiatica e la zolla africana generò sia l’Etna sia i faraglioni di Aci Trezza. Sono le ultime isole che vedremo per diversi chilometri. Il museo Casa del Nespolo e il circolo dei pescatori di Aci Trezza hanno già chiuso. È quasi sera, meglio continuare verso Catania. Abbiamo la mappa con la rotta giusta per riuscire a non tornare mai.
Dentro la città di Catania si trovano atolli dell’animo. Far colazione da Prestipino, tra il duomo di Sant’Agata e il mercato del pesce, in vista di ’u Liotru, è uno dei pochi lussi che ci siamo concessi. Il monastero dei Benedettini, reso nuovamente visitabile al pubblico dall’associazione Officine Culturali, è talmente maestoso da aver ispirato I Viceré di Federico De Roberto. Poco distante, la Legatoria Prampolini è la più antica libreria della Sicilia. «Quest’anno festeggiamo 130 anni di storia. Verga, De Roberto e tanti altri si incontravano qui per i loro giovedì letterari. È un posto molto importante per Catania» ci dice la libraia Angelica. Sono in gran mostra i libri di Goliarda Sapienza, autrice nata a Catania cent’anni fa, la cui fama deriva soprattutto dal libro postumo L’arte della gioia. Avverte Angelica: «Devi prepararti perché è un libro che ti prende a sassate».


Quando smetto di pensare a questa frase, siamo già sulla pista ciclabile Rossana Maiorca, verso Siracusa. È intitolata alla campionessa di apnea, si affaccia sulla costa e Ortigia si avvicina pedalata dopo pedalata. Le scogliere alte e le cave di pietra bianca si susseguono ai due lati della ciclabile. Se Ortigia è perfetta per le foto, per il Sound Festival e ahimé per il turismo mordi-e-fuggi, Ognina – qualche chilometro più a Sud – si presta a chi ama una Sicilia lontana dai riflettori.
Il cantante Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce (il nome deriva da una nota leggenda siciliana), che trascorse parte dell’infanzia a Ognina, parlando della colonna sonora appena realizzata per il film Iddu su Matteo Messina Denaro, dice: «Sono stufo della Sicilia dei carretti, degli arancini e delle granite. Non tanto quella rappresentata dal commissario Montalbano, dove almeno c’era l’intelligenza narrativa di Camilleri, ma quella da cartolina di White Lotus. Esiste anche questa Sicilia nascosta, sotterranea, scura: nel film si vede, eccome».
Di fronte a Ognina vi è un’isoletta, omonima, piatta e minuscola, ma facciamo appena in tempo a intuirne la sagoma che stiamo già puntando dritti verso Noto. La forma ellittica e minuta, qui, appartiene a un’isola ciclistica per certi versi impensabile nella capitale del tardo-barocco e del matrimonio di Fedez e Chiara Ferragni. Eppure, non distante dalle torri della cattedrale di San Nicolò, il velodromo Paolo Pilone tiene duro. Non si può definire un impianto moderno, ma è frequentemente sfruttato. Nel 2024 ha ospitato i Campionati italiani giovanili e pure quando ci arriviamo noi il luogo pullula di vita: all’interno delle paraboliche dei ragazzini giocano a calcio.
Il tratto di costa che, superando la riserva naturale di Vendicari, Marzamemi e Pachino, scende fino a Portopalo di Capo Passero è uno dei più belli di tutta la Sicilia. Tira un gran vento di scirocco: arriva da Sud-Est ed è come un phon caldo puntato in faccia. Gli ultimi colpi di pedale ci portano fin qua, all’isola delle Correnti. Poco prima dell’attraversamento, l’unico bar sulla spiaggia ci attira come mosche sul miele. Abdi, giovane barista egiziano, chiede se conosciamo le storie di Ulisse e di San Paolo, approdati qui dopo varie peripezie nei loro viaggi. Noi non le sappiamo. E ci chiede se sappiamo che cosa significhi suruq in arabo, oltre a scirocco: nemmeno questo sappiamo. Significa anche, e questo non credo di poterlo mai dimenticare, alba del mattino.

Testi
Michele Pelacci

Foto
Nicola Damonte
Hanno pedalato con noi
Donato Cafarelli, Michele Pelacci

This tour can be found in the super-magazine Destinations - Italy unknown / 3, the special issue of alvento dedicated to bikepacking. 9 little-trodden destinations or reinterpretations of famous cycling destinations.