
Lost in Friuli
Il bello del Friuli Venezia Giulia è il suo essere un territorio di confine, all’estremo Nord-Est dell’Italia, crocevia di culture, popoli e storie diverse.
Periodo consigliato
Apr - Nov
Dislivello Totale
5489 m
Lunghezza totale
437 km
Durata
4/6 Giorni
C'
Come punto di partenza abbiamo scelto Gorizia, città ibrida quant’altre mai. Metà italiana e metà slovena, rientra sia nei confini del Friuli che in quelli della Venezia Giulia, è adagiata in pianura ma con la schiena appoggiata alle Prealpi, a venti chilometri dalla costa. In più, assieme alla gemella Nova Gorica, nel 2025 sarà Capitale Europea della Cultura.
Da lì partiamo verso Nord, attraversiamo un ponte sull’Isonzo e la strada inizia a salire. Ci accorgiamo subito che la definizione di Nievo, se non sbagliata, è almeno incompleta. Alpestre piano e lagunoso diceva l’eroe del Risorgimento, ma si era dimenticato della parte collinare, come il Collio, che stiamo attraversando.
Il Collio che è un po’ Chianti e un po’ Monferrato, ma molto meno inflazionato. In più è la seconda metà di settembre, stagione di vendemmia, e lo troviamo gravido di grappoli gialli di Ribolla e neri di Schioppettino.
Resistiamo alla tentazione di rubare qualche acino, ma cediamo a quella di fare ogni tanto un po’ di dietro-trattore, quando incrociamo un mezzo che torna alla cantina carico d’uva.


A San Daniele però ci fermiamo, un po’ per la pioggia che ha iniziato a scendere, un po’ perché è la patria dell’omonimo prosciutto DOP, ma soprattutto perché qui c’è molto di quell’idea che ci ha spinti a partire.
Il segreto del San Daniele è infatti la geografia. La sua posizione collinare a lato del Tagliamento, montagne alle spalle e faccia al mare, in cui le correnti salmastre da Sud incontrano quelle alpine da Nord e proprio lì si fermano a danzare assieme, metà walzer e metà musica balcanica, creando quel microclima ideale per la maturazione del prosciutto.
Attraversiamo la lunga lingua ghiaiosa del Tagliamento vicino Peonis, la frazione di Trasaghis dove nel 1927 venne trovato agonizzante Ottavio Bottecchia, l’eroe del ciclismo affamato, col naso affilato come un tubolare, che giusto cent’anni fa divenne un dio in Francia vincendo il Tour, primo italiano nella storia a riuscire nell’impresa.
A Forgaria nel Friuli attacchiamo la prima salita del viaggio, una quindicina di chilometri alla media del 6% verso Monte Prat. I tornanti hanno tutti un nome come nelle grandi salite alpine, Volt di Mont, Volt da Las Beorchias, Volt di Bedoi, Volt dai Tisins, e così via, fino ai 900 metri esatti del passo. Capiamo di aver scelto la traccia giusta perché né salendo né scendendo dall’altro versante incontriamo una singola auto, neanche una moto, un motorino, niente, e così sarà anche nella breve risalita della Val d’Arzino, dove dormiremo stasera.
Ci fermiamo alla trattoria Da Renzo a San Francesco, frazione di Vito D’Asio. Tutto il Comune ha 719 abitanti, San Francesco una quarantina. La trattoria è gestita da due fratelli e Davide, uno dei due, mentre beviamo con lui un taj di ros prima di cena, ci racconta che la loro non è solo un’impresa commerciale, ma ha anche una funzione sociale. Al bar del ristorante vendono tabacchi e giornali, lì a fianco hanno un piccolo alimentari, ogni mese fanno il giro dei vecchi della frazione a portar loro le bombole del gas piene e ritirare quelle vuote.
Siamo già in zona Carnia e si vede dal menù: come primo tris di cjarson – in questo caso salati –, di secondo polenta e frico, con un assaggio di capriolo.
Continuiamo a chiacchierare con Davide anche dopo cena, stavolta davanti a una grappa di ruta.
Ci parla della bellezza e della difficoltà di vivere e lavorare in quei luoghi, e noi pensiamo all’importanza di persone come lui che presidiano certi posti, non solo per i pochi abitanti ma anche per tutti gli altri che vengono qui d’estate dalla pianura a cercare il fresco, per tutti noi che qui veniamo solo di passaggio.
Come i rami più alti degli alberi, quelli che di solito non vediamo mai. Ma che con le loro foglie vicino al sole sono fondamentali per la fotosintesi di tutta la pianta.
Forse la più famosa leggenda friulana è quella che riguarda il Ponte del Diavolo, il simbolo di Cividale.
Dice la leggenda che i cividalesi, in difficoltà nella costruzione del ponte, chiesero aiuto nientemeno che a Satana in persona. Lui accettò, a patto di avere in cambio la prima anima che avrebbe attraversato il ponte.
Grazie all’intervento diabolico la costruzione fu terminata in una sola notte, e la mattina successiva i cittadini dovettero sdebitarsi. A quel punto fecero passare sul ponte un animale – chi dice un gatto, un cane o un maiale – beffando così il Diavolo, che da quel giorno lasciò per sempre in pace la città.
Impossibile dire dove finisca il museo e inizi casa sua, e viceversa, anche perché la veranda è in realtà a tutti gli effetti un’officina dove fa bella mostra di sé un’Harley del ’37 in restauro. Il Cocco ha quasi ottant’anni ma nel 2018 è partito da Pozzis direzione Samarcanda con una moto del ’39. Assieme a lui c’era un giovane regista che l’ha seguito per realizzare un documentario, che poi ha avuto un certo successo. A vedere il trailer su YouTube, un successo tutto meritato.
Quando lo salutiamo facendogli i complimenti per la sua collezione e il suo viaggio il Cocco ci risponde, in pieno stile eremitico, «Non è niente mio, non è niente di nessuno, dobbiamo lasciare andare tutto».
E noi lasciamo scorrere gli ultimi chilometri di salita, poi quelli di discesa che ci portano a lambire Tolmezzo, il capoluogo della Carnia.
La nostra traccia di nuovo scansa i centri principali, ma una visita a Tolmezzo varrebbe la pena anche solo per passare davanti all’Albergo Ristorante Roma, dove secondo alcuni negli anni Cinquanta è stato inventato un dolce che poi avrebbe spopolato in tutto il mondo, il tiramisù.
Noi invece pieghiamo verso Ovest, incrociamo di nuovo il Tagliamento una, due, tre volte, fino ad attaccare la seconda ascesa di giornata, verso Forcella di Monte Rest, sette chilometri in un bosco di faggi prima e abeti poi.
La nostra traccia di nuovo scansa i centri principali, ma una visita a Tolmezzo varrebbe la pena anche solo per passare davanti all’Albergo Ristorante Roma, dove secondo alcuni negli anni Cinquanta è stato inventato un dolce che poi avrebbe spopolato in tutto il mondo, il tiramisù.
Noi invece pieghiamo verso Ovest, incrociamo di nuovo il Tagliamento una, due, tre volte, fino ad attaccare la seconda ascesa di giornata, verso Forcella di Monte Rest, sette chilometri in un bosco di faggi prima e abeti poi.
Qui il Giro è passato nel 2020 con la tappa Rivolto-Piancavallo vinta da Tao Geoghegan Hart, che di quel Giro vinse poi anche la classifica generale. Lungo i tornanti l’asfalto è vellutato e ci viene il dubbio che anche oggi sia un giorno di gara, che la strada l’abbiano chiusa solo per noi.
Dopo lo scollinamento ci tuffiamo verso Tramonti, di Sopra prima e di Sotto poi, dove ci fermiamo a dormire. Non prima però di aver assaggiato la pitina, un insaccato di carne affumicata tipica della Val Tramontina.
Il giorno dopo partiamo verso sud toccando paesini e borghi come Navarons, Poffabro, Gobbo, e scendiamo verso Maniago sulla vecchia strada che costeggia il torrente Colvera.
Dio benedica le strade nuove, pensiamo, se lasciano quelle vecchie libere per le biciclette, per le persone a piedi e per gli arrampicatori, come quelli che salgono sulla falesia alla nostra destra.


La strada che faremo ha un nome bellissimo, Venezia delle Nevi, fa subito venire in mente i quadri di un altro Ippolito, stavolta Caffi, con la città lagunare imbiancata. E come Venezia è chiusa al traffico, metà asfalto e metà sterrata, pendenza costante attorno all’8%.
Qui il consiglio, per chi utilizza un Garmin, è di disattivare la funzione ClimbPro che mostra ogni dettaglio della salita. Inutile controllare ogni mezzo minuto quanto dislivello manca, che pendenza avranno i prossimi cento metri, quando arriverà il prossimo tornante. Il consiglio è di spegnere tutto e provare solo a stare dentro la salita, come una specie di esercizio zen, non sperare che finisca il più presto possibile, ma anzi pensare che sia infinita. Dopotutto questo è un viaggio, non un lungo segmento Strava.
Ci fermiamo a un tornante poco sotto Malga Campo Budoia. Eccolo lì, l’universo Friuli, in tutta la sua sconfinata molteplicità. La pianura si srotola davanti a noi per le famose sessanta miglia. Laggiù in fondo luccicano la laguna di Marano e il golfo di Trieste. Alla nostra sinistra si alzano le Alpi Giulie con il Monte Canin, le Prealpi con il Matajur e il Kolovrat e poi via via fino alla fine del mondo, si potrebbe pensare.
Alla fine della salita cerchiamo una birra e ci fermiamo nel primo posto che sembra promettercela, Malga Costa Cervera. Ma in Friuli, ormai l’abbiamo imparato, quando si cerca una cosa si trova sempre di più.
La birra ce la porta Annalisa Celant, trentanove anni e più della metà passati ogni estate quassù, a continuare un lavoro iniziato negli anni Cinquanta da suo bisnonno.
La malga è una delle pochissime rimaste a lavorazione tradizionale del Friuli. Ogni mattina Annalisa accende il fuoco sotto la grande caliera di rame, scalda il latte della sera prima assieme a quello appena munto, aggiunge il caglio e lo trasforma in formaggio, anzi nel çuç di mont, presidio Slow Food.
La lunga discesa ci riporta alla civiltà, Caneva, Sacile, Cordenons, e l’ultima sera in Friuli la passiamo a Casarsa della Delizia. Prima di ripartire per l’ultima tappa del viaggio andiamo al cimitero a salutare Pasolini, che è qui sepolto assieme alla madre sotto un alloro, simbolo dei poeti. Ma questo luogo è legato anche a un altro grande personaggio nato qui, meno noto ma quasi altrettanto particolare: Ezio Vendrame, calciatore e scrittore, troppo lungo qui raccontare oltre. Tranne una cosa. Quando Gianni Mura gli chiese un’intervista, lui gli diede appuntamento al cimitero. «Quando passo a Casarsa vengo sempre qui a trovare Pasolini» gli disse. «È rimasta l’unica persona viva del paese».
Poi ancora strade bianche in mezzo ai campi di granturco e soia, argini di fiumi, la stella a nove punte di Palmanova, meraviglia architettonica veneziana.


Arriviamo nella piazza di Gorizia dopo aver percorso 435 chilometri dalla nostra partenza, quattro giorni fa. Abbiamo attraversato sterrati, ciclabili larghe come strade provinciali e strade provinciali tranquille come ciclabili, colline, pianura e montagne, e adesso sì, possiamo dire una cosa.
Ippolito Nievo aveva ragione, il Friuli lo è davvero, un piccolo compendio dell’Universo.
Ma un Universo non può star dentro qualche pagina, nemmeno quelle di un magazine molto curato come questo.
L’unica è prendere una bicicletta e andare a esplorarlo.

Testi
Fabio Dal Pan

Foto
Alessandro MimIola
Hanno pedalato con noi
Fabio Dal Pan, Michele Monego

This tour can be found in the super-magazine Destinations - Italy unknown / 3, the special issue of alvento dedicated to bikepacking. 9 little-trodden destinations or reinterpretations of famous cycling destinations.