Salento Trail

Ulivi, masserie, faraglioni: pedalando tra i due mari.

Dislivello Totale

2118 m

Lunghezza totale

297 km

Durata

2/3 Giorni

C

i vuole pazienza, molta pazienza. Per raggiungere il Salento, se vivi nel nord Italia, ci vuole tutta la pazienza del mondo. D'altra parte cosa puoi pretendere? Lo sanno anche i bambini: il tacco è la parte più a Sud dello stivale.

Salento Trail

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Intro

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Maglie nella terra di mezzo

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Leggende e segni millenari

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Finalmente Lu Mare!

04

Da Otranto a Santa Cesarea

05

Verso il faro di Leuca

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Gran finale

Certo, avrei potuto optare per un tranquillo viaggio in aereo, o al limite in treno, ma non vedo Alfredo e Sandro da così tanto che, oltre i miei bagagli e alla bici, non posso mica presentarmi a mani vuote: mi dovrò ben sdebitare per l’invito!
Carico il furgone e parto. Mi aspettano oltre undici ore di viaggio e, come dire, io sono uno che preferisce macinare chilometri in sella piuttosto che chiuso in un abitacolo. Sarà l’eccitazione, sarà il caldo anomalo di questo inizio autunno, sarà la partenza intelligente che mi fa evitare il traffico, ma le ore scorrono velocemente. Senza quasi rendermene conto, sono già ben oltre metà strada. Al volante la mente che macina fantasie su fantasie in attesa di ciò che mi aspetta e mi accorgo che sto facendo un viaggio nel viaggio. Muoio dalla voglia di giungere a destinazione.

Luoghi

Maglie

Sabbia finissima e alte scogliere

Otranto

Santa Cesarea Terme

Castro

Specchia

Quella che mi aspetta è una terra piena di storia. Un lembo di terra stretto tra due mari, incessantemente spazzato dal vento, dove per millenni si sono avvicendate popolazioni e popolazioni, ognuna lasciando un segno, più o meno evidente, delle loro esistenze e del loro passaggio.

Attraverserò anch’io, per due giorni, in bicicletta questo territorio, provando a dimenticare ogni preoccupazione della quotidianità.

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Maglie nella terra di mezzo

«Ho fatto più veloce possibile!».
«Shhh, fai piano che dormono tutti! Lì trovi da mangiare, lì il bagno, lì il letto. E vai a dormire presto che domani si inizia!».
Alfredo e Sandro vivono a Maglie, una cittadina di circa 15.000 abitanti poco sotto Lecce. È proprio nel cuore del Salento, equidistante dalla costa adriatica e da quella ionica: il posto ideale da cui partire e dove lasciare ciò che sarebbe superfluo. Come sempre si caricano in auto vestiti di ogni genere ma poi, alla partenza, si sceglie lo stretto necessario per un week-end da randagio.
Mi alzo un’ora prima degli altri e vado a visitare il borgo antico, da solo, in sella alla mia bici già settata alla perfezione. Saranno gli ultimi momenti di solitudine rilassante e me li godo, consapevole che d’ora in poi mi aspettano risate, risate e risate ancora, con il sudore a fare da piacevole leitmotiv.

Giusto un paio di chilometri di riscaldamento e siamo già immersi nella storia di questa terra. Delle strane mura segnano il percorso sterrato. «Sono le mura messapiche. Le hanno costruite i Messapi intorno al 300 a.c. Erano una popolazione che si era stanziata qui, in Salento. Il loro nome vuole dire che sta tra due mari. Mai sentito parlare dei Messapi, eh? Non preoccuparti, non li conosce quasi nessuno!». Sorrido, allargo le braccia e capisco che non sarà né la prima né l’ultima lezione di storia che imparerò in questi giorni.
L’alba in Salento è meravigliosa. Siamo ancora nell’entroterra e vedere il sole, di un rosso infuocato, salire e illuminare gli ulivi è davvero emozionante. La gamba non gira ancora bene, sarà colpa delle troppe ore passate seduto in furgone, o forse perché devo abituarmi a questa alternanza di terreno su cui stiamo spingendo: asfalto, single track, pietre, strade bianche… Di tutto e di più, insomma.

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Leggende e segni millenari

Siamo ai piedi della Collina delle Ninfe e dei Fanciulli. Secondo una leggenda, gli ulivi non sono altro che pastorelli trasformati in alberi da un incantesimo delle ninfe. I ragazzini avevano avuto l’ardire di sfidare le semidivine creature dei boschi in una gara di danza. Persero il confronto e la loro punizione fu di essere mutati in ulivi. Diventa un gioco, a questo punto, mentre pedaliamo lungo strappetti in doppia cifra che fanno alzare il cuore a ritmo gara, indovinare dei volti umani nelle forme contorte dei tronchi degli ulivi.
Con Alfredo e Sandro è da tanto che non ci si vede, quindi approfittiamo di ogni momento di tranquillità per scambiare due parole sulla vita che passa, il lavoro, la famiglia. La temperatura è perfetta e si riesce a pedalare e parlare senza andare in affanno.
Prima un menhir a fare da crocevia, poi un dolmen dove decidiamo che è tempo per la prima banana della giornata. Sono sbalordito dalla quantità di segni della memoria che stiamo incontrando: nemmeno il tempo di finire di ascoltare una storia che ne inizia subito un’altra. 

Ciclostorie
Storia 01

Il Giro in Puglia

Fortunatamente la traccia è per lo più pianeggiante e non siamo quasi mai a tutta, il che mi permette di ricordarmi per filo e per segno di ciò che Alfredo e Sandro mi raccontano nella loro inconsueta veste da Cicerone.
Una strada oramai abbandonata in cui la natura si sta riprendendo i suoi spazi ci porta a Palmariggi, dove riempiamo la prima borraccia del giorno. Abbiamo la bocca secca. Ci chiediamo se sia a causa della fatica o perché non siamo stati zitti un attimo. Ci lasciamo alle spalle l’imponente Castello Aragonese costruito intorno al 1330, all’interno del vasto sistema strategico di difesa ad anello a protezione di Otranto. Pedaliamo per strade delimitate da muretti a secco, tra ulivi e alberi di fico, fino ad arrivare al Parco naturale di Torcito, da cui prende il nome un’imponente omonima masseria. Tutto il territorio è qui punteggiato da masserie, gli storici insediamenti rurali tipici della campagna pugliese. Ma quella di Torcito è sicuramente una delle più belle e tutt’intorno ci sono antiche vie romane che portano i segni di chissà quanti secoli di storia: si vedono ancora i solchi lasciati dalle ruote dei carri. Pedalarci in mezzo, a quelle rotaie forse antiche di duemila anni, non è un gioco da ragazzi!
«Che strana questa vigna così bassa. Che uva è?».
«Sono barbatelle. Sono viti da innesto. Vengono messe a dimora e poi vendute per la coltivazione di varie tipologie di uva».
Non si finisce mai di imparare, penso.

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Finalmente Lu Mare!

Una strada bianca liscia come un biliardo ci permette di fare velocità mentre vediamo intorno noi lo scenario cambiare ancora una volta. In un attimo tutto diventa verde e la macchia mediterranea fa capolino con alberi e cespugli bassi che convivono con sabbia, tufo e salsedine: è qua che si trovano i due Laghi di Alimini, un’altra incredibile scoperta di cui ignoravo completamente l’esistenza. Alimini Grande, generato dalla continua erosione del mare, è circondato quasi completamente da una fascia rocciosa ricoperta da folte pinete; a fianco, Alimini Piccolo, chiamato anche Fontanelle, alimentato dalle numerosi sorgive di acqua dolce. A collegarli c’è un piccolo canale, Lu Strittu. Ogni spiegazione sull’etimologia è superflua.

Ci siamo, finalmente ci siamo. Ore e ore di viaggio, tanta fatica accumulata in queste prime ore in sella, ma alla fine eccoci: Lu Mare!

Così lo chiamano da queste parti, e così lo chiamo anch’io.
Avevo sempre sentito parlare della bellezza di Torre dell’Orso, ma non pensavo una cosa del genere. Acqua limpidissima e di un blu così carico che è raro vedere. Il nome deriva dalla presenza, sulla costa, di una torre del XVI secolo utilizzata in passato per avvistare l’arrivo dal mare delle navi turche.
Un veloce passaggio in spiaggia e poi risaliamo in alto sulla costa rocciosa. «E quelle? Cosa sono???», chiedo con gli occhi sbarrati. «Le due sorelle! Ascolta bene. La leggenda narra che due contadine del luogo un giorno si siano avvicinate al mare per rinfrescarsi. Giunte alla baia di Torre dell’Orso, una delle due s’immerse per fare un bagno, ma l’acqua, vicino agli scogli, si fece insidiosa e vorticosa. La ragazza iniziò ad annaspare. La sorella accorse a soccorrerla, ma più nuotavano più i loro sforzi si facevano vani. Finalmente si abbracciarono, esauste, per l’ultima volta, ormai incapaci di vincere la furia del mare che le inghiottì. Tuttavia il Dio del mare se ne dispiacque e, mosso da compassione, le trasformò in due faraglioni, vicini per l’eternità».
Non penso di essere una persona particolarmente sensibile, ma devo ammettere che immaginando la scena, e avendo davanti lo struggente spettacolo dei due faraglioni, mi si è intenerito il cuore.

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Da Otranto a Santa Cesarea

La strada che da qua porta ad Otranto è incredibile. Un single track di qualche chilometro col mare a pochi metri, dapprima sotto il sole cocente e dopo al riparo sotto alberi che fanno da protezione. Ovviamente le velocità non possono essere elevate, ma è davvero una goduria.
Entrare a Otranto ha un sapore tutto suo. Sarà per la bellezza, sarà per il ricordo dell’occupazione turca del 1480 e la scia di sangue che lasciò. È tutto un mix di sensazioni questo viaggio, penso tra me e me. I vicoli del borgo storico, curatissimi e talvolta in pendenza a doppia cifra, ci fanno faticare non poco e attraversarli in sella è un privilegio.

La stanchezza si fa sentire e la seconda parte della giornata inizia con il passaggio a Punta Palacia, punto più a Est d’Italia, giusto a cinque chilometri dal centro abitato. È qua che inizia la litoranea che non abbandoneremo più fino a Santa Cesarea Terme. Tiro un sospiro di sollievo perché un po’ di asfalto, ora, è davvero benedetto. Poco importa se la strada è un continuo mangia e bevi, la piacevolezza di sentire le gambe girare così bene allevia ogni fatica e mi permette di rilassarmi senza dover costantemente guardare per terra.
Vedo confabulare Sandro ed Alfredo e capisco che qualcosa sta per accadere. Una piccola deviazione di percorso e sbam, davanti agli occhi appare Masseria Cippano: una torre alta circa 15 metri e una spettacolare scala d’accesso. Non è un caso che sia stata scelta come ambientazione per vari film.

Arriviamo a Santa Cesarea Terme col sole in discesa. Il mare è calmo e il colpo d’occhio è fenomenale. Che sia un luogo termale si capisce subito annusando l’aria e questo la rende unica nel suo genere. L’idea inziale era quella di fermarci qua per la notte, dividendo la traccia in tre giorni. Ma un po’ per la gamba che gira bene e un po’ per la meravigliosa luce del tramonto, decidiamo di macinare ancora qualche chilometro.
Le vie di Castro mi fanno immergere in un altro mondo, l’ennesimo di questo viaggio: i toni sul giallo lasciano spazio a colori più accesi e vivi, a ricordare quasi quelli delle isole greche poco distanti da qua.
Ora siamo davvero esausti e decidiamo che è arrivato il momento della pausa.

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Verso il faro di Leuca

Al risveglio la decisione è presa: il tour si chiude in due soli giorni. Siamo a poco meno della metà del percorso, quindi è fattibile. Inoltre la strada rimasta è più semplice, più scorrevole e ci sono meno luoghi di interesse storico da visitare. Il paesaggio sarà il vero attore principale di oggi e questo ci permetterà, speriamo, di volare.
«E quella cos’è? L’Albania?».
«Sei davvero fortunato! Il vento ha pulito l’aria e si vede benissimo la costa! Capita di frequente, ma non così spesso. Se ci fosse stato scirocco sarebbe stato impossibile, ma si vede che tu hai portato l’aria del Nord!».
Mi godo la vista mentre passo un’abbondante quantità di crema solare sul viso: quaggiù il sole picchia forte fino all’autunno inoltrato e, a vedere l’abbronzatura dei numerosi ciclisti incontrati sulla strada, non stento a crederci.

La strada si inerpica per bene e capisco che, se la scelta è questa, un motivo ci sarà. La terra diventa rossa, di un rosso così intenso che sembra di pedalare su una polvere di mattoni.

Un altro single track in cresta, sulla Serra del Mito, ci regala un panorama da brividi fino a Torre del Sasso. Rifletto guardando da quassù e penso che, se hanno dovuto costruire così tanti punti di avvistamento, è perché questo era davvero un luogo ambito. Vedendone la bellezza, non me ne stupisco.
Io non so a voi, ma a me i fari hanno sempre affascinato. Forse è qualcosa di ancestrale dovuto al fatto che sono da sempre luoghi di confine ma anche indicazioni della giusta rotta e, talvolta, sinonimo di terra ferma e riparo. Non so bene, ma arrivare al faro di Leuca, in bici, ha un sapore tutto suo, difficile da spiegare.

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Gran finale

Sapevo che oggi la natura avrebbe preso il sopravvento, e così è stato. Da Leuca si riparte risalendo la costa direzione Parco Litorale di Ugento, che è un posto non così semplice da inquadrare. Dune sabbiose, paludi, macchia mediterranea e le Serre di Ugento: formazioni collinari di roccia calcarea, incise di tanto in tanto da gravinelle, canaloni carsici tra di loro paralleli ma perpendicolari alla costa.
L’idea di tagliare il percorso mi è balenata più di una volta. Non tanto per la stanchezza, quanto per la moltitudine di paesaggi e scorci visti in questi due giorni. Mi sono sentito così soddisfatto talmente tante volte che ho pensato che potesse bastare così. Per fortuna che i miei due compagni non hanno voluto assecondarmi, nonostante le mie ripetute richieste. È dalle prime telefonate di oltre un mese fa che mi parlano di Specchia, ultima tappa prima della conclusione di questo fine settimana. Me l’avranno ripetuto una decina di volte almeno.

Cose buone

Ciceri e tria

Pasticciotto leccese

Spumone

Ci arriviamo stanchi, accaldati e affamati, ma per fortuna ho dato retta alle loro insistenti richieste. Due tornanti secchi, una curva a 90°, ed eccoci in cima. Non è una Cima Coppi, per intenderci, ma da lì il panorama tutto intorno è davvero spettacolare.
È l’ultima pausa, l’ultimo momento di relax prima della tirata finale che ci riporterà a Maglie. Sono soddisfatto e sereno. Manca poco, ma abbastanza per godermela ancora un po’. Il sole cala, le temperature anche, noi diventiamo più taciturni. Non so bene come saranno gli ultimi chilometri e non voglio nemmeno immaginarli, né faccio domande a Sandro o ad Alfredo.
«Dobbiamo andare, è tardi! Non te l’avevamo detto, ma stasera c’è la Sagra de Lu Paniri te e Site! Ti portiamo lì. Hai fame, vero?».
Chiudo gli occhi, li riapro, sorrido, salto in sella.
Si vola. Che meraviglia, questo Salento!

Testi

Stefano Francescutti

Foto

Paolo Penni Martelli

Hanno pedalato con noi

Stefano Francescutti, Alfredo Russo, Sandro Toma

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 1, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 13 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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