
Tutti i sapori delle Marche
Da Civitanova Marche ai Monti Sibillini e ritorno. 300 chilometri per palati esigenti.
Dislivello Totale
5349 m
Lunghezza totale
283 km
Durata
2/3 Giorni
L
Tutti i sapori delle Marche
00
Intro
01
Un invitante mangia-e-bevi
02
Scarpe e scatti
03
Un appuntamento sotto il cielo
04
Dalle colline al mare
Allora, per non farci sopraffare dalla sindrome del goloso di dolci prigioniero in una pregiata pasticceria, per questa nostra prima degustazione del territorio abbiamo deciso di affidarci a un esperto. Mauro Fumagalli è un brianzolo trapiantato per lavoro prima e poi per amore in riva all’Adriatico. Nella sua vita a pedali ha messo nel gambe un bel po’ di decine di migliaia di chilometri: fino a qualche decennio fa, come promettente corridore allievo e poi dilettante – erano gli anni in cui gli è capitato di giocarsela gomito a gomito con uno come Gianni Bugno – ; e adesso come rodatissima guida ciclistica di centinaia di turisti che, da marzo a novembre, porta a conoscere l’incanto sempre diverso delle strade marchigiane. Dunque sarà lui il nostro Virgilio in questa due giorni che, ovviamente, potrà essere solo un assaggio, ma che contiene gran parte di quegli ingredienti che, mixati nel modo giusto, fanno delle Marche un territorio molto speciale per natura, arte, cultura, paesaggio e, naturalmente, divertimento a pedali.
Partenza da Civitanova Marche, che, al termine di un largo anello che abbraccia litorale, collina, montagna, e poi ancora collina e per finire di nuovo in vista mare, sarà anche il nostro traguardo. Ma non c’è molto tempo da perdere: ci aspettano 48 ore e circa 293 km di mangia-e-bevi. Lo capirete leggendo queste pagine – ma, ancora di più, se saremo stati così bravi da invogliarvi a percorrere le nostre stesse tracce – che non è un modo di dire… esclusivamente ciclistico. Tra consumo e assunzione la vostra bilancia calorica potrebbe rischiare di rimanere in pari.
Le Marche sono fatte così: fatta eccezione per le strade che sfilano parallele alla costa adriatica, appena puntate la vostra ruota verso l’entroterra preparatevi a salire sull’incessante altalena di rapidi strappi e nervose discese.
La morfologia a pettine di questa parte di entroterra adriatico, solcato in ravvicinata sequenza da valli parallele, fa sì che difficilmente troverete dei tratti in pianura, fatta eccezione per le strade di fondovalle. Che però sono le più urbanizzate, paesaggisticamente meno interessanti e, infine, più trafficate dai flussi automobilistici da cui vogliamo tenerci a debita distanza. Del resto, cercare le strade più belle significa pedalare per le strade più impegnative. Il divertimento, in fondo, è proprio questo. E allora si parte.
Questa giornata di fine estate promette bene: temperatura perfetta e leggera ventilazione. Il cielo terso là in fondo ci mostra, all’orizzonte, i profili delle colline e, più dietro, delle montagne che dovremo raggiungere a sera. Sembrano vicinissime, a portata di scatto, ma è un inganno e noi non ci caschiamo.


Dalla piazza XX Settembre che si apre un varco verso il lungomare, Mauro ci pilota fuori da Civitanova Marche lungo la ciclabile che prima costeggia il litorale e poi si addentra sulla sponda destra del fiume Chienti, che qui segna il confine tra il Maceratese e il Fermano. Poche pedalate e ci lasciamo alle spalle il salmastro delle spiagge. Da queste parti il fondovalle mette fianco a fianco antichi e moderni mestieri: campagne coltivate come giardini e indaffarate manifatture della piccola e media impresa locale, che negli ultimi decenni ha costituito un’eccellenza, non solo nazionale, nel campo della produzione calzaturiera e pellettiera.
Ci inoltriamo di buona lena per le strade interpoderali: molte sono bianche e dall’ottimo fondo compatto. Primo strappo e saliamo su una strada di crinale: siamo a cavaliere tra la Valle del Chienti e quella dell’Ete, un torrente dal corso breve quanto il suo nome. Ci si getta a volo da una lunga e sinuosa discesa sterrata che poi risale sulla collina di fronte: è un classico. Oltre che un invito a prendere di slancio la strada che, senza soluzione di continuità, s’impenna proprio quando termina la discesa: mollate i freni e sfruttate tutto l’abbrivio. Intorno nei campi è da poco terminata la raccolta dei girasoli e non restano che i fusti delle piante decapitate.
Arriviamo a Montegranaro, la capitale del distretto calzaturiero: negli ultimi cinquant’anni molti artigiani di qui hanno intensamente sviluppato la propria attività diventando uno dei maggiori centri produttivi di scarpe e accessori per scarpe di alta qualità. Non so se è un caso, o se è proprio un indizio: la strada che raggiungiamo alla fine di una salita sterrata e che ci porta verso il paese si chiama Strada Cura Mostrapiedi. Montegranaro è, come gran parte dei borghi storici marchigiani, appollaiata in vetta a un colle. Il centro storico, tra ripide vie in salita e bei palazzi nobiliari, è tutto raccolto intorno alla lunga e stretta piazza Mazzini, il nostro primo Gran Premio della Montagna. Il tempo per un caffè e poi si riparte.
Puntiamo a sud e siamo nella Valle del Tenna. Tra Ponzano di Fermo e Grottazzolina – altro borgo aggrappato in cima a un colle intorno alla sua rocca medievale – Mauro ci chiede di fare una deviazione: aveva ragione. Alla fine di una discesa, nel bel mezzo della campagna sorgono, isolate come un altare, le rovine della Madonna delle Cataste. Sono i resti di un tempietto circolare dal tetto scoperchiato. Non fatevi ingannare dall’aspetto medievale: è una chiesetta eretta circa un secolo fa per un ex voto – la tradizione popolare dice che qui fosse apparsa la Madonna – , poi andata distrutta in un incendio e in seguito abbandonata. Da qualche anno, liberata intorno dalle sterpaglie, è diventata una fotografatissima meta, una sorta di San Galgano marchigiano in miniatura.
Riprendiamo la strada che corre, con altimetria sempre nervosa, sino a quando raggiunge il crinale che dall’alto guarda la sponda sinistra del Tenna. Inanelliamo una sequenza di antichi e preziosi borghi (Magliano di Tenna, Montegiorgio, Falerone, Penna San Giovanni, Gualdo) che meriterebbero una sosta meno frettolosa. Ma abbiamo un appuntamento a fine giornata: qualcuno prima del tramonto ci aspetta in cima ai Sibillini. E dobbiamo muovere le gambe. Facciamo però un’eccezione: ad Alteta, una manciata di case e palazzi di pietra ambrata strette intorno a una piazzetta, facciamo rifornimento d’acqua alla fontanella e ci sediamo per un attimo, facendo girare lo sguardo intorno. Le fessure nei muri e qualche impalcatura contenitiva sono lì a ricordarci che il terremoto del 2016 è ancora una ferita difficile da rimarginare.
Fin da Gualdo, i Sibillini cominciano a incorniciare l’orizzonte. Ma dopo una curva ecco che ci appaiono in tutta la loro magnificenza: ci fermiamo ai bordi di un campo scuro arato di fresco per ammirare i contrafforti della grande montagna-altopiano. Sembra una vasta terrazza sulla quale vanno ad appoggiarsi le nuvole. Più a sud, dove è già Abruzzo, si intravedono anche i profili dei Monti della Laga e la mole imponente del Gran Sasso. Il pomeriggio volge al termine e noi, come abbiamo detto, abbiamo un appuntamento. Saltiamo di slancio il paese di Sarnano, che ci ospiterà questa notte, e attacchiamo la salita per Sassotetto, traguardo ben noto a chi sa qualcosa di Tirreno-Adriatico. Sono poco più di 10 chilometri di salita con circa di 750 metri di dislivello. Se avete da riempire la borraccia, fatelo alla Fonte dei Brilli, dopo circa un chilometro e mezzo. Da qui fino in vetta non c’è altro modo di rifornirsi. La pendenza impegna, ma in modo regolare. La media è intorno all’8,4%, con alcuni tratti più duri nella parte centrale, con qualche punta al 12%. Dopo una sequenza di tornanti, dove la principale fatica è non fermarsi a gettare lo sguardo verso l’orizzonte aperto che arriva fino al mare, la strada spiana un poco.
Prendiamo il bivio a sinistra per Sassotetto che porta al piazzale che si apre tra gli alberghi e l’impianto di risalita. Ci si ferma a rifiatare, ma non è finita. Ci aspetta ancora la parte più bella della strada, quella che, come un ingresso trionfale, ci fa affacciare sull’incantato altopiano dei Sibillini. Dopo un paio di altri tornanti un po’ più cattivi, ecco che si prende quota oltre i 1.300: faggi e conifere lasciano il posto solo ai prati e al cielo. È il valico della Maddalena, a 1.456 metri. Ed è qui che abbiamo il nostro appuntamento. Al cartello che indica lo scollinamento, sul lato destro della strada, c’è una specie di bianco menhir. Ci sono incise, in blu, una frase e una foto: «Correte in bici, divertitevi, inseguite un sogno». Sono le parole di Michele Scarponi, messe qui, dall’ottobre del 2021, a salutare chi passa e chi continua a credere nella bellezza del ciclismo. Missione compiuta. Per oggi. Non ci resta che tornare indietro.


A Sarnano ci aspettano per cena. Sarà con noi il sindaco. Niente paura: nulla di istituzionale. Solo il piacere di raccontarci, le gambe sotto il tavolo, senza cravatta né fascia tricolore, di come Sarnano e i sarnanesi, dopo il terremoto, non si siano lasciati perdere d’animo. In pochi anni hanno lavorato per ricostruire il paese, mettendolo in sicurezza e facendo in modo che la cittadinanza rimanesse legata ai propri luoghi. Sarnano, vera e propria porta dei Sibillini, coltiva con intelligenza e visione la grande risorsa del turismo outdoor che qui ha nel ciclismo – strada, gravel, mountain-bike e downhill – la sua declinazione di eccellenza.
La trattoria, poco fuori il paese, ha un nome da burla; il menu è, invece, cosa serissima. E gustosissima: tra le varie portate ne diciamo una sola che, sulle altre, spicca come un cibo solo al comando: costine di maiale con fave e finocchio selvatico. A tarda sera, la finestra del B&B, aperta sui tetti di Sarnano, inquadra la luna che si posa, come le nuvole del pomeriggio, sulle creste dei Sibillini. E sulle parole di Michele Scarponi, che ci guideranno anche domani.
Il mattino – a colazione, se trovate la crostata torrone sappiate che vi garantirà una bella spinta – lasciamo Sarnano per dirigerci verso il Lago di Fiastra, nella parte più settentrionale del Parco nazionale dei Monti Sibillini. Ci arriviamo risalendo la boscosa valle del Fiastrone, che in certi punti si stringe a formare uno spettacolare canyon verde.
Ci fermiamo, nel fresco ancora pungente della giornata, ad ammirare dalla diga – si tratta di un bacino artificiale costruito nel dopoguerra per rifornire di energia idroelettrica la zona – le acque smeraldine del lago. Da Fiastra – altro borgo che mostra ancora i dolorosi segni del terremoto – dopo un’altimetria mossa, si scende nell’alta Valle del Chienti per una ventina di chilometri filanti. Oltre il Lago di Caccamo la traccia torna a essere nervosa.
Dopo una sosta nella suggestiva ellissi di piazza del Popolo, a San Severino, arriviamo a Treia.
Qui rendiamo omaggio allo sferisterio e alla memoria della gloria sportiva locale, Carlo Didimi, il Maradona del pallone col bracciale, che venne addirittura celebrato in una poesia di Giacomo Leopardi. Piazza della Repubblica è uno spettacolare balcone architettonico: da qui lo sguardo abbraccia gran parte delle colline del Maceratese che saranno il nostro orizzonte per il resto della giornata. Per una meravigliosa traccia sterrata che solca la campagna punteggiata di ulivi e querce, lasciamo alle spalle Treia e ci dirigiamo lungo la Valle del Potenza, in direzione di Appignano, quindi continuiamo verso i comuni di Morrovalle e Potenza Picena.


Dunque, al termine di questa nostra due giorni alventiana, siamo arrivati in porto. E non è un modo di dire. Attracchiamo le bici lungo il coloratissimo molo del porto turistico di Civitanova, chiudendo il cerchio mare-collina-montagna-collina-mare.
Le Marche in bicicletta non sono solo questo, bene inteso: ma già questo è davvero tanta roba.

Testi
Gino Cervi

Foto
Paolo Penni Martelli
Hanno pedalato con noi
Mauro Fumagalli

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 1, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 13 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.



















