Una questione di cuore

Nel centro dell’Italia sulle tracce di San Francesco.

Dislivello Totale

3627 m

Lunghezza totale

170 km

Durata

2/3 Giorni

I

l ciclismo è una questione di cuore. No, non sto facendo il sentimentale. Voglio proprio dire che nel ciclismo avere un muscolo in mezzo al petto che pulsa regolare e scandisce a vario ritmo la nostra vita, e in particolare la nostra vita a pedali, alla fine conta più di tutto. Se le gambe girano è grazie a quel motorino rosso grande quanto un pugno che incessantemente pompa sangue nelle arterie e nelle vene.

Una questione di cuore

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Intro

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Tra subasio e menotre

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L’Altopiano di Colfiorito

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In altalena sugli Appennini

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Clitunno, Trevi e ritorno a Foligno

Intendiamoci: non è che bisogna per forza avere il cuore dell’atleta, quello che fa meno di quaranta battiti a riposo, come ce l’avevano, e ce l’hanno, i grandi campioni. Basta avercelo buono, e averne cura. Allenandolo con costanza alla fatica e alle emozioni, proprio come facciamo noi ciclisti. Ma qui, vedo che di nuovo rischio di ricadere nel sentimentale. Difficile, infatti, rimanere indifferenti di fronte alle meraviglie cui stiamo per andare incontro.

Anche l’Italia ha un cuore pulsante di bellezza e noi, in questi giorni, siamo venuti a pedalarci dentro. Umbria, l’interno più interno della penisola: valli e montagne, rocche e campanili, borghi e monasteri immersi nell’unico mare che si può vedere da queste parti, un mare verde cangiante: quello argenteo degli ulivi, quello tenue delle viti e quello cupo delle fasce di bosco.

Umbria, Foligno. Il centro di tutto. Lu centru de lu munnu, come dicono da queste parti. Lo dicono con orgoglio, ma anche con ironia. Fino a non molti anni fa c’era uno storico caffè del centro di Foligno, il Sassovivo, in cui si affermava che l’umbilicus urbis corrispondesse esattamente al birillo posizionato al centro del suo tavolo da biliardo: oggi, purtroppo, il locale è stato dismesso e al suo posto, forse un segno dei tempi, c’è il negozio di una catena di prodotti cosmetici.

Luoghi

Palazzo Trinci

Giostra della Quintana

Foligno e l’arte della stampa

Abbazia di Sassovivo

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Tra subasio e menotre

Ci aspettano tre giorni di full immersion. Affronteremo un percorso di 170 chilometri – e un dislivello di quasi 4.000 metri – che ci porterà a conoscere l’estrema varietà naturale, umana e storica del paesaggio umbro. Dalle dolci colline della Valle Umbra alle pendici del Subasio, e poi, attraverso la Valle del Menotre, ricca di acque, agli Altopiani Plestini, o di Colfiorito. E di qui, lungo percorsi in buona parte off-road, a mezza costa o su crinali, passando per borghi incastellati con fantastiche vedute sulle vette degli Appennini umbro-marchigiani, ritorneremo, da Campello sul Clitunno e Trevi, alla fascia olivata della Valle Umbra.
La partenza è piazza della Repubblica, a Foligno, all’ombra del magniloquente palazzo Trinci, simbolo di sfarzoso potere della famiglia mercantil-signorile che dominò questa regione dall’inizio del ’300 fino al 1439.

Lasciamo la piazza e il centro storico, percorrendo via Gramsci, passando di fronte all’Osteria ciclabile Ladri di Biciclette, indirizzo che ci tornerà utile memorizzare per quando, a fine giro, faremo rientro a Foligno per la cena. Quindi seguiamo per un tratto le mura medievali ancora ben conservate, mentre alla nostra sinistra scorre il Topino, il fiume che lambisce la città. Lo attraversiamo sul ponte di viale Quattro Novembre e quindi, tenendo il corso d’acqua ora alla nostra destra, iniziamo ad assaggiare il primo tratto di sterrato, il fondo che ci accompagnerà per buona parte del nostro viaggio.
Oltre il Parco Fluviale Hoffmann e il Parco delle Fornacette, lasciamo la periferia e dopo il sottopasso della SS75 Centrale Umbra siamo già alle pendici dei colli. Possiamo già inquadrare a distanza Spello, il primo borgo storico che aspetta come sospeso a mezza collina. Ci arriviamo prendendolo quasi di spalle, salendo gradualmente tra gli ulivi. Facciamo conoscenza con il paesaggio della fascia olivata, un nastro pedemontano verde-argenteo che per 40 chilometri corre tra Spoleto e Assisi.

Ciclostorie
Storia 01

La francescana

Spello è custodita da una duplice cinta di mura, quella medievale e quella romana – le Mura Augustee – che sembrano averla gelosamente protetta dal tempo e dalla storia. Passiamo trionfalmente – anche perché nel frattempo abbiamo scaldato la gamba – sotto la monumentale Porta Venere, di travertino bianco e affiancata da due possenti torri, nominate torri di Properzio, dal nome del poeta latino del I sec. a.C., che nacque a Spello (anche se c’è chi sostiene che fosse di Assisi). Attraversiamo il centro e, con andatura baldanzosa, affrontiamo pendenze che non sono state propriamente pensate per andarci in bicicletta: ma la prestigiosa cornice di arte e archittettura ci stimola a fare anche noi bella figura. Imbocchiamo via Subasio e cominciamo a salire.
Non poteva che essere così: Subasio è il nome del monte forse più iconico dell’Umbria, sulle cui pendici occidentali sorgono Spello, appunto, e Assisi e che divide l’aperta Valle Umbra dalle più recondite valli appenniniche dell’interno. Visto da lontano il suo profilo lungo e arrotondato assomiglia alla grande groppa di un mastodonte addormentato tra i distese di lecci, querce e faggi. Anche noi andiamo incontro al fitto dei boschi lasciandoci alle spalle gli ulivi.

La strada asfaltata sale per cinque chilometri con regolare pendenza fino a Collepino, la nostra successiva meta. Collepino è una manciata di case di pietra, con un bar e un ristorante, arroccate a 600 metri intorno a un castello costruito a guardia della valle del torrente Chiona. Tempo per un caffè e si riparte, planando verso il fondovalle e poi ricominciando a salire su un fondo che alterna asfalto e sterrato. In località Colle San Giovanni si attraversa la Flaminia e, a Scanzano, la ferrovia. Da Vescia si ricomincia l’ascesa su asfalto fino a Belfiore.
Stiamo entrando nella Valle del Menotre, affluente del Topino: ne seguiremo il corso, ora costeggiandolo, ora stando alti a mezza costa, con qualche deviazione nei borghi. Nei pressi di Pale, ad esempio, il Menotre si getta in una forra formando delle cascate. Le risorse idriche di queste zone vennero a lungo sfruttate, dapprima in epoca romana, quando venne costruito un acquedotto, e quindi, nel Medioevo, con l’installazione di mulini, frantoi e opifici per le manifatture tessili e della carta.
Da Ponte Santa Lucia fino a Scopoli la nostra traccia corre fianco a fianco al Menotre e poi ricomincia a salire, facendosi più impegnativa in un tratto di circa tre chilometri off road nei pressi del villaggio di Barri

Cose buone

La fascia olivata

La strada del Sagrantino

Tutti i colori dell’orto

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L’Altopiano di Colfiorito

Stiamo per fare il nostro ingresso in un nuovo scenario paesaggistico-ambientale, quello dell’Altopiano di Colfiorito. Si tratta di un sistema di terre alte, nel bel mezzo dell’Appennino umbro-marchigiano, dalla caratteristica conformazione carsica. Oggi l’area è protetta dal Parco regionale di Colfiorito  per preservarne l’importante valore naturalistico di zona umida: qui infatti un tempo, quelli che appaiono come ampie conche verdi, e che oggi sono chiamati piani – di Ricciano, di Arvello, di Annifo, di Colle Croce e dello stesso Colfiorito – erano distese paludose prosciugate per effetto del carsismo o per l’attività di bonifica dell’uomo fin dall’epoca romana e poi rinascimentale. La presenza umana in quest’area ha origini lontanissime nel tempo, che si identificano dapprima con le arcaiche civilità-agropastorali dell’Età del ferro (X sec. a.C.), come testimoniano la presenza di castellieri preistorici, luoghi sopraelevati su cui, in seguito, sono sorti i villaggi attuali, come Annifo, Lignano e Popola. A partire dal II sec. a. C., i romani vi fondarono un municipium, Plestia, a presidio delle vie di comunicazione con l’Adriatico; infine, nel X sec. d.C., venne costruita una grande basilica paleocristiana, Santa Maria di Pistia.
Non abbiamo molto tempo di soffermarci a curiosare tra queste interessanti memorie storiche, alcune ancora ben visibili – come la basilica – , altre solo intuibili dalle forme del paesaggio.

Ma è affascinante sapere che stiamo mettendo le nostre ruote lungo strade che in questa regione hanno segnato per millenni la storia dell’uomo e che noi, scegliendo il nostro itinerario fuori-traccia, in qualche modo andiamo a far rivivere.

Anche questa, per tornare a parlare di cuore e di emozioni, è una gran bella soddisfazione.
Inanelliamo così una serie di attraversamenti dei piani: in quello di Ricciano siamo costretti a spingere per un breve tratto, a causa del fondo troppo smosso, ma bellissima invece è la discesa sul piano di Colle Croce, in vista del maestoso profilo del Monte Pennino. Spettacolare il tratto gravel che ci accompagna a visitare da vicino la palude di Colfiorito, tra passerelle e punti di avvistamento dell’avifauna che qui sfrutta le particolarità ambientali della zona umida. Colfiorito è il punto ideale per pernottare e spezzare il nostro trail in due giorni.

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In altalena sugli Appennini

Riprendiamo il giorno dopo con una ventina di chilometri di saliscendi su sterrato, con qualche tratto in salita impegnativo, ma mai più lungo di un chilometro o un chilometro e mezzo. Si resta infatti prevalentemente in cresta, con panoramiche aperture sui profili dell’Appennino umbro-marchigiano. Prima di arrivare a Verchiano c’è anche un tratto di single track su fondo compatto. A Verchiano, davanti al fontanile monumentale che si trova nella parte bassa del villaggio – restaurato dopo i danni del terremoto – , fate caso allo stemma scolpito in bassorilievo: un maiale e sopra una mano che impugna una lama. Del castello di Verchiano, segno della presenza della signoria dei Trinci, un tempo possente fortilizio, rimangono ben conservati i quattro torrioni: da questo punto la valle si apre su un vasto panorama, nel quale si può scorgere, di lontano, una della nostre prossime mete: il paese di Cammoro.  Si scende quindi per tre chilometri di asfalto verso Rasiglia, un piccolo borgo attraversato dalle acque canalizzate del Menotre, con invasi e cascatelle che un tempo erano utilizzate dai mulini come forza motrice. A Rasiglia sono visibili altri resti di un castello dei Trinci.

Ciclostorie
Storia 02

Velodromo Canapé

Da qui in poi ci attendono una ventina di impegnativi chilometri, quasi tutti sterrati, con salita per Acqua Santo Stefano e quindi deviazione per Vallupo, dove siamo costretti per un breve tratto a scendere e spingere. Meravigliosa la discesa dentro al bosco in direzione di Orsano. Infine, si parte alla conquista di un altro borgo inerpicato, Cammoro: per arrivarci bisogna faticare su un piccolo muro lungo solo 800 m ma con pendenze che arrivano anche al 18%.  A Cammoro, oppure a Pettino, dieci chilometri dopo, di cui sette su sterrato abbastanza impegnativo, è consigliabile prevedere un secondo pernotto, per chi decidesse di articolare in tre giorni il trail. Ma ci sentiamo in particolar modo di raccomandare di fermarsi a mangiare a Cammoro, nell’home restaurant di Adelmo & Rina.

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Clitunno, Trevi e ritorno a Foligno

Siamo al rush finale. Mancano una quarantina di chilometri all’arrivo a Foligno. Lasciamo la Valle del Menotre alle spalle e ci dirigiamo, restando a lungo in costa lungo la Valle di Pettino, fino ad affrontare una picchiata di dieci chilometri su asfalto. Ci riappare il respiro ampio della Valle Umbra, da Spoleto a Montefalco.

Scendiamo di nuovo tra gli ulivi, arrivando dapprima in vista del borgo murato di Campello e quindi planando verso un posto magico: le fonti del Clitunno, un idilliaco specchio d’acqua dalle rive erbose sulle quali ricadono le molli fronde dei salici.

Sembrano fatte apposta per finire in una poesia, di quelle che si imparano a scuola: infatti questo posto è stato cantato da poeti di tutte le epoche, da Properzio a Virgilio, fino ad arrivare a Carducci e a George Byron. Il poeta inglese, in uno dei suoi viaggi italiani, prese alloggio in una locanda di Pissignano e scrisse nel suo diario: «Presso le sue rive ebbi qualcuna delle famose trote del Clitunno, il più grazioso fiumicello di tutta la poesia». Non si sa come gliele cucinarono, le trote.
Noi, molto meno guizzanti di una trota, torniamo sulla strada. Tra le chiome degli ulivi a poco a poco riusciamo a inquadrare Trevi, una chiocciola di palazzi e campanili. Anche questa è da conquistare a forza di gambe e scatti, e la fatica, l’ultima, è ben ricompensata. In piazza Mazzini, appoggiamo le bici sotto il grande portico del Palazzo comunale e ci godiamo la bellezza di questa nostra fatica.
Ci attende Foligno e i restanti quindici chilometri ce li spariamo a tutta.

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Umbria Bike Fest

A piazza della Repubblica si chiude il nostro anello. Sulla facciata laterale del Duomo di San Feliciano, dalla pietra rosata due braccia bronzee sbucano, tendendo un drappo. È il monumento che ci ricorda che qui, su questa piazza, nel 1205, arrivò un giovane da Assisi. Era il figlio di un ricco mercante, Pietro di Bernardone, e quel giorno decise di vendere le stoffe del padre, e anche il suo cavallo, e di donare il ricavato per restaurare la malmessa chiesa di San Damiano. Fu il primo atto della santità di Francesco.
Siamo e saremo sempre lontani da tanta santità, ma sono convinto di questa cosa. Se ai tempi di Francesco d’Assisi, otto secoli fa, fosse già stata inventata la bicicletta, il Santo Poverello l’avrebbe scelta per compagna di viaggio e il famoso cavallo di San Francesco non sarebbero stati i piedi scalzi e il bordone del pellegrino, ma una semplice, essenziale macchina a pedali.
Allora, in omaggio a questa ingenua convinzione, ma espressa col cuore – vedete che il cuore torna sempre… – ci facciamo, appunto, coraggio e infine intoniamo la nostra umile lode di ringraziamento:
«Laudato sì, mi’ Signore, per nostra sorella bici / che ci accompagna nel mondo e che ci fa tutti amici».

Testi

Gino Cervi

Foto

Paolo Penni Martelli

Hanno pedalato con noi

Luca Draoli, Stefano Francescutti

REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 1, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 13 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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