Classico rivisitato

Esistono angoli da scoprire anche in una delle mete ciclistiche più iconiche delle Alpi.

Dislivello Totale

5694 m

Lunghezza totale

201 km

Durata

2 Giorni

P

edalare al cospetto delle Dolomiti è come giocare a calcio a San Siro o cantare l'opera lirica all'Arena. Se c'è un luogo ideale da cui partire e tornare per un'esperienza del genere, questo luogo è l'Alta Badia, che nasce stretta per aprirsi dopo parecchi chilometri in una ipsilon panoramica, è la cerniera naturale che unisce e collega le valli dolomitiche.

Classico rivisitato

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Intro

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Il paradiso delle Puez-Odle e la cattedrale del gruppo Sella

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Il giro dei grandi passi

Facendo dunque base in Alta Badia, vi racconteremo la nostra due giorni a pedali. Sono due anelli, ciascuno di circa cento chilometri e con oltre 3.000 metri di dislivello. Il primo giorno si gira intorno al Parco naturale Puez Odle per poi scendere attraverso la Val di Funes fino al fiume Isarco; ma si risale subito lungo la Val Gardena fino al passo omonimo, per poi ridiscendere verso Colfosco e Corvara. Il secondo mette in sequenza Campolongo, Pordoi, Fedaia, Falzarego e Valparola, alcuni dei più grandi passi dolomitici che hanno fatto la storia del ciclismo, ma senza trascurare nuovi scorci, e nuove scoperte.

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Il paradiso delle Puez-Odle e la cattedrale del gruppo Sella

Procediamo con ordine. Partenza da La Villa, dove l’ipsilon prende forma: guardando verso sud, a sinistra c’è il versante che porta a San Cassiano e poi al Valparola e dritto davanti ai nostri occhi il versante che porta a Corvara e sotto il Boè. Ma noi giriamo la bici in direzione nord, scendendo per una quindicina di chilometri fino a San Martino che con il suo castello e il Museo ladino sembra proprio una bella cartolina di un tempo, con i bordi frastagliati e il francobollo sul retro timbrato da un solerte impiegato delle Poste. Ognuno però può scegliere il punto di partenza che più gli aggrada, come detto, l’Alta Badia è lunga.
Scendendo verso San Martino, un po’ di precauzione è necessaria. C’è una galleria che però, grazie alla velocità della discesa, si supera con una certa facilità. Al bivio per il passo delle Erbe, il Ju de Börz in ladino, si inizia a fare sul serio. Dopo il ponte, si abbandona la strada del passo e si segue, girando a destra, l’indicazione per Mirì, una stradina che, per una decina di chilometri, devia fra boschi e campi che fanno bene all’anima.

Luoghi

Sito UNESCO

Museum Ladin

Val dl’ert

Enrosadira

Ripresa la strada principale, la salita si fa impegnativa ma, tra un tornante e l’altro, gli scorci sulla valle sono a dir poco sublimi.

Il Sasso della Croce è una montagna di infinita bellezza, palestra tanti anni fa delle prime imprese dei fratelli Messner. Dopo un paio di chilometri un cartello indica la Val dl’Ert, la Valle dell’arte: un angolo appartato dove sono installate alcune delle opere di SMACH, la biennale di land art internazionale. La visita è più che consigliata non solo agli appassionati di arte contemporanea.
Vecchi masi, mucche al pascolo, gli immancabili crocifissi di legno. Si sale ed è un bel salire. È difficile chiedere di più. Quando si raggiunge la strada del passo delle Erbe, la vista sul Putia è strabiliante: una sfinge imponente, elegante, austera, isolata.
La strada scende per un paio di chilometri per poi farsi più tosta: pendenze tra il 9 e il 10% con punte anche del 16%, fino al passo a quota 1.991 metri. Da qui la vista sul Putia è strepitosa. Ora bisogna fare attenzione: la strada si fa stretta e la discesa richiede una certa prudenza. Un’occhiata ancora alle montagne che si stagliano all’infinito e poi, manubrio ben stretto e giù attraversando boschi di larici e pini. Un bivio: si lascia la Provinciale 29 per prendere, tenendo la sinistra, la 163 in direzione Val di Funes. Tra il fitto e il fresco del bosco, occhieggiano le cime delle elegantissime Odle.

L’affaccio sulla Val di Funes è bellissimo, ma i 4 chilometri di discesa che conducono a San Peter richiedono la massima concentrazione: pendenze molto ripide, tornanti secchi, strada stretta come un filo d’erba.
La Val di Funes è un gioiello. Qui la cultura contadina ha ancora un suo perché grazie alla tenacia di alcuni giovani i quali, insieme ad allevatori, pastori e artigiani con qualche anno in più sulle spalle, tengono in vita un sistema di produzione ben lontano dallo sfruttamento intensivo e dalle monoculture.
Se la discesa lo permette, tra un tornante e l’altro forse potrete veder pascolare la Villnösser Brillenschaf, ovvero la pecora con gli occhiali, tipica di queste zone e protetta perché in via d’estinzione.

Ciclostorie
Storia 01

Bike Days

Ma è ora di tornare in sella e girare a destra quando s’intercetta la Provinciale che porta a Chiusa. La si percorre fino a Gudon e da qui, se la strada lo permette dato che al momento del nostro passaggio risultava interrotta da una frana, si gira a sinistra per intraprendere un tratto di salita fra i più impegnativi di tutto il giro. Altrimenti si raggiunge Chiusa e si prende l’indicazione per Gudon, Laion e via a spingere perché la strada richiede il massimo impegno. Sono 13 chilometri di cui almeno 5 assai complicati: le pendenze vanno dal 7%, a punte del 18%. La stradina s’inerpica fra i campi grazie a tornanti secchi fino a che non si raggiunge un bivio: qui si tiene la destra e si pedala fino a Laion, porta della Val Gardena. La fontana di fronte alla macelleria è più che mai propizia.

L’ultima parte di questa magnifica strada non è impegnativa, anzi è piuttosto panoramica: di fronte lo Sciliar e in lontananza è già possibile intravedere la sagoma inconfondibile del Sassolungo. Si supera San Pietro di Laion, fino a raggiungere la strada che porta a Pontives e Ortisei. Se avete voglia, alla rotonda girate per il centro e fate una vasca nel paese, ma tenete presente che ci sono ancora poco meno di mille metri di dislivello da affrontare.
Per evitare le gallerie, alla rotatoria di Santa Cristina è consigliabile prendere la terza uscita e dirigersi verso la chiesa parrocchiale. Cinquanta metri prima della chiesa si gira a destra per imboccare la ciclabile fino a Plan. Da qui in poi la strada è più che nota e pedalare sul passo Gardena è magnifico.

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Storia 02

Il giovane Coppi sul Pordoi

Il Giro d’Italia è transitato dal Gardena innumerevoli volte: la prima nel 1949, lato Alta Badia, quando passò Fausto Coppi davanti a tutti; la seconda, nel 1950 e sempre dalla Alta Badia, fu invece Gino Bartali a condurre le danze.

Come dire, la storia, il mito, l’epopea del ciclismo. Nota per i pedalatori che arrampicano: salendo, guardando il versante sinistro, è possibile ammirare le guglie delle Cir. Raggiungere la cima e godersi il tramonto vale il prezzo del biglietto, che peraltro non si paga. Magnifico. A destra il passo Sella assomiglia al canto della sirena, ma è meglio non lasciarsi tentare, dato che di salita se n’è fatta abbastanza.
Il gruppo del Sella da sotto fa impressione e una volta in cima, a 2.121 metri sul livello del mare, l’affaccio sull’Alta Badia è memorabile. Le Tofane laggiù, con la cima di Rozes in bella mostra, e poi Conturines, Lavarella, Sasso della Croce e sulla sinistra, a pochi metri, la sagoma inconfondibile del Sassongher, piramide di roccia che sovrasta Corvara.
Inizia la discesa, a destra le Torri del Pisciadù e circa a metà il ponte sospeso della ferrata Tridentina. Oltrepassata la monumentale bici in legno simbolo della Maratona, al bivio si gira a sinistra e si pedala fino a La Villa, con la felicità aggrappata alla maglietta:

Aver pedalato prima intorno al Parco Naturale Puez Odle e poi verso il castello di roccia del Sella è qualcosa che riempie i polmoni, solletica il cuore e deterge l’anima da ogni cattivo pensiero. Sia sempre benedetta la bicicletta.

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Il giro dei grandi passi

Il ciclismo senza i passi dolomitici è come la spiaggia senza biglie colorate da spingere in punta di dito. È come un sogno andato a male, una canzone triste e basta, per cui noiosa, una speranza disillusa, un amore che non sboccia. Invece eccoli qui i passi dolomitici, sequenza infinita di gioia nella fatica. Salire lungo la litania dei tornanti, scendere con le mani strette al manubrio, e tutt’intorno la montagna: lo si fa per passione, termine che ha la stessa radice di patire. Ed essere patiti della bici è una cosa meravigliosa.
Si parte anche questa volta da La Villa – ma, ripetiamo, si può farlo da ogni altro centro dell’Alta Badia – attirati dall’idea di mettere in fila una bella sequenza di passi, come fa la nonnina quando al vespro entra in chiesa a sgranellare i chicchi del rosario. Campolongo, Pordoi, Fedaia, Falzarego, Valparola. Se dovessimo associare ad ogni passo un pezzetto di storia del ciclismo non finiremmo più, perciò si monta in sella con una compagna invisibile al fianco che sale leggera e disinvolta insieme a noi. È l’Epopea del ciclismo: ognuno è libero di immaginarsela come vuole, ma ditemi quale altro sport produce lo stesso effetto.

Ciclostorie
Storia 03

Maratona dles Dolomites

Il Campolongo di solito è giudicato come il fratello minore, invece i tornanti che vi si arrotolano sopra Corvara sono di rara eleganza. Il Sassongher si erge maestoso alle nostre spalle a ricordarci che la bellezza è un dono prezioso, da contemplare sì, ma anche da proteggere. Qui si scattano da più di trent’anni le foto simbolo della Maratona dles Dolomites, con il serpente variopinto di ciclisti appena partito che si snoda ancora compatto per centinaia e centinaia di metri. La discesa verso Arabba è un inno ai boschi, che la tempesta Vaia di qualche anno fa ha seriamente minacciato. L’operosità ladina è da ammirare, ma nei confronti di Madre Natura dovremmo fare tutti di più. Molto di più.

Si sale di nuovo lungo i tornanti che portano al Pordoi. È come ascendere verso il cielo; sentirsi piccoli è normale, sentirsi felici più che sacrosanto.

Ed ecco la personificazione di Epopea che si palesa al nostro fianco, ricordandoci non tanto che in cima al passo c’è il monumento a Fausto – quello lo sanno tutti – ma che in discesa, quando si giunge al bivio con il Sella, c’è un’altra targa dedicata all’Airone che pochi conoscono.
Da Canazei verso il Fedaia. Il versante forse meno noto, ma di raffinata bellezza. Certo, non è arcigno come dalla parte opposta con quei drittoni che Tonkov ancora se li ricorda, dopo la Asiago-Selva di Val Gardena del Giro del 1998. E Pantani che scatta, una, due, e quante volte ancora? O salta lui o salto io. Per nostra fortuna, da tifosi, è saltato lui.
Ecco il lago, ed ecco la Marmolada. Silenzio. Viene in mente il titolo di un celebre saggio di Jonathan Franzen: E se smettessimo di fingere? Già. La discesa è lunga e fendere l’aria dolomitica un autentico toccasana. Si passa accanto ai Serrai di Sottoguda, quasi di nuovo ripristinati dopo i danni della tempesta Vaia. Il borgo di Caprile ha un centro grazioso, che merita una sosta caffè con tanto di strudel o crostata.

Si riprende a salire quando si raggiunge Cernadoi con l’amletico bivio che assilla i maratoneti: fare il medio o il lungo? Falzarego o Giau? La salita del Falzarego è una delle più sensuali in assoluto. Costante, non tosta come il Giau, ma di impareggiabile bellezza. Profumo di boschi. A sinistra una rocca: è il castello di Andraz, testimonianza storica di un passato che non si può dimenticare. Oggi è sede di un museo che è espressione del patrimonio culturale locale legato all’area ladina dell’alto agordino. Sopra, il Col di Lana, teatro assurdo di una guerra assurda. A più di cent’anni è ancora possibile ascoltare il respiro di migliaia di giovani strappati dalle loro terre e mandati qui a morire.

I prati sopra il bosco, e laggiù le guglie rocciose. Madre Natura offre sempre ristoro. Così come la fontana di Pian de Falzarego, la migliore a detta di tantissimi ciclisti. Dopo la galleria scavata nella roccia, ecco il passo, ma non è ancora finita. Il Valparola richiede un ultimo sforzo, di quelli più tosti: da pera a pera, da sasso a sasso dicono qui. Ciò che si ammira una volta giunti in cima è grandioso. Volendo si può percorrere un breve tratto di sterrato sulla vecchia strada. Il Forte continua a ricordarci che qui c’era il fronte, ma basta alzare lo sguardo e superare una di quelle siepi tanto care a Leopardi: l’infinito esiste e va oltre la Marmolada, il Boè, il Sassongher, il Putia, le Conturines. L’infinito è dentro di noi.
La discesa è spettacolare, riempie il cuore. Il massiccio delle Conturines che si staglia di fronte è da brividi. I prati dell’Armentarola ci ricordano che alla nostra destra c’è l’accesso al Parco naturale di Fanes, Sennes e Braies. La prossima volta, lo promettiamo, si lascia la bici e si cammina: sicuro.

Cose buone

Bales da cioce

Cajincì

Un passaggio nel centro di San Cassiano è d’obbligo e finalmente La Villa. Il periplo, o meglio, un cerchio – dato che siamo su due ruote a pedali – si chiude ed ecco che i versi di Orazio ci sono d’aiuto come fossero una bella borraccia di acqua gelata: «Tu sii saggia: versa il vino / e chiudi in questo breve cerchio / la lunga tua speranza. / Anche le parole che ora diciamo / il tempo nella sua rapina / ha già portato via / e nulla torna. / Godi questo giorno, / non credere al giorno che verrà». Sì, insomma: è proprio arrivato il momento di godere. Carpe diem. E grazie bici.

Testi

Francesco Ricci

Foto

Paolo Penni Martelli

Hanno pedalato con noi

Richard Feichter, Andreas Pescoll

REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI

Questo itinerario lo puoi trovare sul super-magazine Destinations – Italy unknown / 1, lo speciale di alvento dedicato al bikepacking. 13 destinazioni poco battute o reinterpretazioni di mete ciclistiche famose.

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